Risorgere mi sembra un progetto fondamentale, non solo la lieve resurrezione del mattino che ha l’aroma di un buon caffè, ma anche la resurrezione radicale, quella dopo la morte. Però cambia la prospettiva, non bisogna desiderare la resurrezione per vivere in eterno ma per avere una seconda occasione di morire in modo più professionale. Moriamo tutti da dilettanti, questa è la tragica e buffa verità. Per questo credo in Dio, e anche perché Dio è incredibile, e tuto ciò che è incredibile ha qualcosa di divertente. Quindi immagino una serie di resurrezioni che avranno lo scopo di farci morire finalmente in modo impeccabile.

La patria. La mia patria non ha nulla di risorgimentale, non ci sono piazze Garibaldi nella mia patria, ma solo sentieri sconnessi, vicoli ciechi illuminati dal sole, rotatorie che cercano la propria quadratura. Quando penso alla mia patria, non posso che pensare al corpo di mia madre, un contenitore che mi getta nel mondo, cosmpolitismo vaginale, eterna ricerca del capezzolo, prima del capezzale. La mia patria ha un volto, un respiro, un destino di polvere, come ogni cosa creata. Lunga vita alla patria, così intesa. Una patria fatta di sconfinamenti, di violazioni di territori immaginati e sognati. E la famiglia non può che essere l’umanità intera. Ogni volto che incontro è il mio volto sotto altra forma, con altri lineamenti. Escluso il volto di Salvini, ovviamente.

Invece. Invece viviamo in un mondo retorico, altisonante, vuoto, fatto di paroloni che nascondo la più bieca idiozia e il conseguente disprezzo per l’unicità di ogni singolo essere umano. Chi è il più grande nemico della retorica? L’ironia, perché solo dall’ironia nasce la libertà dello spirito, il rifiuto e la ribellione verso ogni stereotipo concettuale e culturale. D’amore si vive, come ci insegna un film del mio amico Silvano Agosti. E per la patria bisogna vivere. Non morire. Morire significa perdere il bene più importante: la possibilità di darsi appuntamento. Non finisci in paradiso, forse su una lapide commemorativa, nulla di più. Di sicuro si finisce in un cimitero che è la cosa più lontana da “ci vediamo alle sette per un aperitivo”. A questo discorso c’è un’eccezione: l’Ucraina. Noi tutti siamo l’Ucraina. L’Ucraina è la nostra patria, il nostro volto, nostra madre. Se non capiamo questo, siamo già morti e sepolti.

Anche la Russia è la nostra patria, ma la Russia di Kasparov e di Anna Politkovskaja, la Russia dei dissidenti al regime. La Russia di Gogol, non certo quella di Putin. E vedete che torna l’ironia, solo l’ironia salva l’umanità. Quando sentite un uomo ingessato che minaccia l’umanità di estinzione, sappiate che quello è il nemico di tutti noi. Esiste un volto meno ironico di quello del dittatore russo? Assenza di ironia equivale a morte e distruzione. Chi scrive queste parole? Ricky Farina. Chi è Ricky Farina? Un radical chic? Forse. Beh, se il popolo vota a destra, allora sono fiero di essere radicale e chic. Mi avete rotto con tutta questa ossessione per le bollette e per la fine del mese. Perché volete arrivare alla fine del mese? Che cosa ci sarà mai di così importante alla fine di questi cazzo di mesi? Ve lo dico io che cosa c’è alla fine del mese: la vostra vita, sempre uguale, fatta di bollette e gratta e vinci. Ma non vi vergognate di non essere Ricky Farina? Di non amare la libertà e l’ironia? Non vi vergognate di non avere uno zio che ha scritto la musica di Felicità?

Il vostro Dio, patria e famiglia vi condannerà sempre a un bicchiere di vino con un panino, ma ancora non lo avete capito che siamo noi radical chic la vostra salvezza? Solo con noi avrete in fresco una bottiglia di champagne. Ma voi avete scelto la destra! Ed è per questo che io scenderò in strada ogni giorno con la mia videocamera, nella mia patria, nel mio Dio, nella mia famiglia, per riprendere il vostro volto tumefatto dalla retorica e dalle bollette, per mettervi alla berlina con il mio occhio fatto di ironia e spietatezza sorridente. Sarò sempre il Don Chisciotte dei vostri mulini inariditi. Non vi darò tregua. Con un Martini cocktail in mano e nell’altra il mio strumento di ribellione: il mio occhio. Saper vedere è inventare, come diceva Dalì, e io vi vedo, vi invento, e vi filmo. Per una mutazione antropologica ironica e libera. Senza tiranni e forse, un giorno, senza bollette.

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