Non ci sono soldi neppure per pagare la bolletta dell’acqua all’ex Ilva di Taranto. Uno scoperto di circa 375mila euro, una briciola confrontata con i 100 milioni di debiti nei confronti delle imprese dell’indotto, ma emblematica per comprendere la grave situazione finanziaria in un cui versa Acciaierie d’Italia, la società che gestisce la fabbrica tarantina e che raggruppa lo Stato attraverso Invitalia e la multinazionale Arcelor Mittal. Secondo quanto riporta il Nuovo Quotidiano di Puglia, infatti, tra le fatture insolute c’è anche la fornitura di 2 milioni e 600mila metri cubi di acqua utilizzata per il raffreddamento dell’impianto: una spesa da 375mila euro che all’Eipli, l’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia, non è ancora stata pagata. Si tratta in dettaglio di due fatture del mese di agosto: la prima, per la fornitura dall’impianto del fiume Tara del valore di 189mila euro e la seconda per la fornitura di acqua dall’impianto del Sinni di altri 168mila euro. E visti i tempi bui, l’ente ha scelto la strada legale: il commissario Nicola Fortunato ha disposto, con un doppio decreto, di agire per ottenere la riscossione del credito. Ma non è l’unico costo che fa paura. Anzi. Anche per il gas le cifre sono profondamente cresciute negli ultimi mesi. Benché possa contare sul gas di recupero derivante dagli impianti, l’ex Ilva ha comunque bisogno di gas dalla rete soprattutto per alimentare centrali, forni di riscaldo dei treni di laminazione e gli altri stabilimenti del gruppo.
La situazione dell’ex Ilva, come raccontato da ilfattoquotidiano.it alcune settimane fa, è particolarmente critica. L’unica speranza di sopravvivenza, al momento, è il decreto “Aiuti Bis” che ha previsto uno stanziamento per la fabbrica di circa 1 miliardo di euro. E persino Confindustria è profondamente preoccupata, al punto che l’associazione degli industriali ha chiesto a Invitalia di destinare buona parte del miliardo proprio ai pagamenti arretrati e alla liquidità di Acciaierie d’Italia parte: per il Governo, invece, quella somma doveva servire alla ricapitalizzazione che avrebbe consentito allo Stato di diventare azionista di maggioranza della fabbrica. Non solo. Confindustria si starebbe ora muovendo per incontrare la stessa Invitalia per studiare tempi e modi dell’operazione. Ma intanto anche i sindacati confederati iniziano a spingere perché le cose cambino. Pochi giorni fa è stato il segretario generale della Fiom Cgil, Michele De Palma, durante un consiglio di fabbrica dello stabilimento ionico, ad affermare che “lo Stato deve assumersi la responsabilità di gestire gli impianti. Qui si deve fare semplicemente un’operazione: lo Stato deve rilevare, perché oggi c’è un rimpallo di responsabilità e i lavoratori pagano. La città di Taranto paga. Il Paese paga. Noi paghiamo mentre ognuno si scarica delle responsabilità”.