Dal rapporto "Education at a Glance 2022" emergono i pochi investimenti sull’istruzione e gli stipendi miseri per gli insegnanti, specie se confrontati con quelli percepiti dai dirigenti scolastici. Aumenta anche la quota dei Neet, ovvero coloro che non lavorano e né si formano per cercare un impiego
È un’Italia poco istruita con sempre più persone che non hanno un lavoro e nemmeno studiano. Un Paese, il nostro, che investe sempre meno sull’istruzione e che paga poco e male i suoi insegnanti, mentre offre ottimi stipendi ai dirigenti scolastici. Sono solo tre aspetti della fotografia fornita dal report dell’Ocse “Education at a Glance 2022 – Uno sguardo sull’istruzione”, presentato oggi alla stampa nel corso di un evento organizzato congiuntamente da Ocse, Fondazione Agnelli e Save the Children. Il quadro che esce sul nostro Paese è ancora una volta a tinte fosche. Il dato più allarmante è questo: in venti anni, in Italia, i livelli d’istruzione sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Ocse. Un’affermazione che arriva proprio da “Education at a Glance”, che ogni anno fornisce una comparazione delle statistiche nazionali, grazie alle quali misurare lo stato dell’istruzione nel mondo. L’Italia non ne esce bene: la percentuale di persone tra i 25 e i 34 anni laureati è aumentata solo di diciotto punti percentuali (dal 10 % nel 2000 al 21 % nel 2011 e al 28% nel 2021). Il nostro Paese resta uno dei dodici Stati dell’Ocse in cui il livello di istruzione terziaria è ancora meno diffuso rispetto a quello secondario superiore o post-secondario non terziario.
Ma non solo. Un ulteriore dato che fa suonare il campanello d’allarme è quello che riguarda i cosiddetti “Neet” ovvero i giovani adulti che non hanno un lavoro ma non seguono neanche un percorso scolastico o formativo rischiando così di finire male dal punto di vista economico e sociale. Dopo essere aumentata fino al 31,7% durante la pandemia nel 2020, la quota di Neet tra i 25 e i 29 anni ha continuato a crescere fino al 34,6% nel 2021. Da notare che questa cifra diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% e tornata in crescita fino al 30,1% nel 2021 per i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni. A finire nel mondo dei “Neet” sono soprattutto le giovani donne nei Paesi Ocse anche se a casa nostra questo divario di genere è relativamente basso tra i giovani di età compresa tra i 15 e 19 anni (12,3% per le donne e 12,7% per gli uomini) e quelli di età compresa tra 20 e 24 anni (30,5% per le donne e 29,7% per gli uomini). Si amplia, invece, per la fascia d’età tra i 25-29, dove il 39,2% sono donne e il 30,3% uomini.
Numeri che preoccupano Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: “Il nuovo report conferma una volta di più che dappertutto, anche in Italia, studiare conviene. In primo luogo, per avere un lavoro e retribuzioni migliori. Ma anche perché livelli d’istruzione più elevati sono, come sappiamo, correlati a una salute migliore, una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro. Per tutte queste ragioni dobbiamo fare crescere il numero dei nostri laureati, oggi ancora fra i più bassi nei paesi Ocse”. Ma cosa fa l’Italia per rimediare? Investe di più? In realtà non è così. Nel 2019, i Paesi dell’Ocse hanno speso in media il 4,9% del loro Pil per gli istituti di istruzione dal livello primario a quello terziario; in Italia, la quota corrispondente è stata pari al 3,8%. Tra il 2008 e il 2019, la spesa per gli istituti di istruzione intesa come quota del Pil è persino diminuita di 0,1 punti percentuali. Unico dato a nostro favore è quello della spesa cumulativa per il singolo studente della scuola dell’obbligo dove siamo, seppur di poco, sopra la media Ocse. L’Italia è invece decisamente agli ultimi posti per quanto riguarda la spesa per studente universitario: 12mila dollari all’anno contro una media Ocse di oltre 17.500 dollari.
Immancabile anche il tema degli stipendi dei docenti. Il rapporto quest’anno mette in evidenza la differenza di pagamento tra gli insegnanti e i presidi: gli stipendi medi reali dei docenti rimangono inferiori a quelli dei lavoratori con un’istruzione terziaria in quasi tutti i Paesi dell’Ocse e a quasi tutti i livelli di istruzione. Questo vale anche per l’Italia dove gli insegnanti di scuola secondaria inferiore guadagnano il 27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria. Al contrario, i salari reali dei dirigenti scolastici nel nostro Paese sono molto più alti di quelli degli altri lavoratori con un’istruzione terziaria. L’ unico dato positivo per l’Italia riguarda l’istruzione dell’infanzia. Il rapporto tra numero di bambini e numero di docenti nella scuola dell’infanzia (12 bambini per docente) è leggermente al di sotto della media Ocse e la spesa totale per le istituzioni della scuola dell’infanzia (10 458 dollari) è di poco superiore alla media Ocse anche se va detto che è finanziata per il 15% da fonti private.
Resta la speranza e l’impegno di chi come Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children, da anni lavora su questi temi: “L’analisi dell’Ocse individua nodi critici che devono essere messi al centro dell’agenda del nuovo Parlamento e Governo. A partire dall’accesso all’università e dal mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con la conseguente perdita di talenti e la drammatica crescita dei giovani Neet. Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti”.