di Andrea Vivalda
I paesi occidentali di area atlantista, Ucraina compresa, si sono affrettati ad attribuire alla Russia l’azione di sabotaggio senza precedenti che ha reso inutilizzabili i gasdotti nel mare del Nord; affermando che ne sia il movente l’interesse di Vladimir Putin di sconquassare gli equilibri dell’economia europea provocando ulteriori rialzi al prezzo del gas naturale.
E’ peraltro noto che dichiarazioni e le conclusioni frettolose su questioni di tale portata, che possono avere o essere base di partenza per conseguenze geopolitiche gravi, spesso celano la volontà di sbarazzare il campo mediatico dalle altre possibili teorie. Certo, non abbiamo accesso ad informazioni tali da smentire la teoria, possiamo però analizzare i fatti con più cautela ed applicando lo strumento logico del “cui prodest”: a chi realmente conviene che i Nord Stream 1 e 2 siano andati distrutti, a quanto pare in modo irreparabile?
Partiamo dalla vittima. I gasdotti in questione trasportavano quel gas che, al di là delle roboanti dichiarazioni di Bruxelles, dall’inizio del conflitto russo-ucraino non ha mai cessato di fluire copioso verso il suo maggior consumatore (la Germania) come verso altri acquirenti (noi compresi), rigorosamente pagato in rubli ancora fino a ieri, continuando a far entrare nelle casse della Russia miliardi di euro al giorno. Siccome il sabotaggio del gasdotto impedirà questo flusso fino a quando non potrà essere riparato (se lo sarà), anche il flusso di cassa a favore del Paese di Putin subirà la stessa sorte. Viene da chiedersi: perché dovrei distruggere un gasdotto con l’obiettivo di alzare il prezzo del gas se poi quel gas non posso venderlo a causa del mio stesso danno? Sembrerebbe che il “cui prodest” non ci porti sulla strada di Mosca.
D’altro canto, poche ore dopo l’accaduto è giunta la magnanima offerta di aiuto di “mamma America” con la voce del segretario di Stato Blinken: “Non lasceremo gli amici europei al freddo”, rendendosi disponibile all’aumento dell’invio di gas liquido dagli Usa all’Europa. Tradotto: gli Stati Uniti “venderanno” (perché ovviamente non sarà gratis) molto più del loro gas all’Europa. E non solo non sarà gratis, ma il prezzo sarà molto più alto grazie proprio agli aumenti provocati dal sabotaggio al Nord Stream. In altre parole, quel copioso flusso di denaro sinora indirizzato alla Russia potrebbe cambiare rapidamente rotta verso l’America, così come l’annosa dipendenza dell’Europa dal gas russo potrebbe trasformarsi nella stessa forma di dipendenza, ma questa volta dagli Usa, riportando l’Europa al suo posticino annegato nella sfera di egemonia statunitense che occupava nel dopoguerra, prima di riuscire a rialzare lentamente la testa verso quel multilateralismo politico-commerciale che l’aveva quasi resa (forse troppo?) libera dall’ingerenza americana.
A rigor di logica dunque, il “cui prodest” appare pendere decisamente verso Washington piuttosto che verso Mosca.
Certo, è solo un esercizio di ragionamento logico. Per ammettere la teoria bisognerebbe ammettere l’eventualità (inquietante) che una potenza mondiale abbia inviato un commando militare segreto, sommozzatori e sottomarini inclusi, a far esplodere i gasdotti che alimentano l’Europa per riportarla nel suo alveo di ingerenza politico-economica e per massimizzare le vendite del proprio gas: roba da film di spionaggio, Spectre e James Bond. L’incredulità sulla teoria però tentenna se si pensa che qualche tempo fa l’allora segretario di Stato della stessa potenza mondiale ha agitato una provetta d’acqua in mondovisione spacciandola per antrace per convincere l’Onu ad autorizzare una guerra di invasone in realtà finalizzata a conquistare pozzi di petrolio. E in quel caso le prove ci sono, anzi c’è la confessione del diretto interessato.
Forse un giorno Blinken o chi per esso farà coming out come fece Powell, per ora possiamo solo supporre, ragionare e soprattutto porre il massimo ascolto anche alle voci fuori dal coro.