Il compositore di Busseto trasformò in capolavori sul palco i lavori di Antonio García Gutiérrez e Ángel de Saavedra dando vita al Trovatore, a Simon Boccanegra e alla Forza del Destino. E in due occasioni fu fondamentale la moglie Strepponi, colta e poliglotta, che gli tradusse le trame. La loro storia è descritta nell'ultima fatica del critico musicale Felice Todde
Da quali drammi attingeva Giuseppe Verdi i soggetti delle sue opere? Di certo dai francesi, come per Ernani e Rigoletto (Victor Hugo) o per La traviata (Alexandre Dumas figlio). Anche da Shakespeare: Macbeth e Otello. E dai tedeschi, soprattutto Schiller: Giovanna d’Arco, I masnadieri, Luisa Miller, Don Carlos. Ci sono poi tre magnifici melodrammi – Il trovatore, Simon Boccanegra, La forza del destino – cavati dallo spagnolo. Tutti e tre sono in cartellone in questi giorni al Festival Verdi 2022 di Parma. Ad essi ha dedicato ora un libro importante Felice Todde: Tre drammi spagnoli per Verdi (Varese, Zecchini Editore). L’autore, critico musicale cagliaritano, ha collaborato per anni alla Nuova Rivista musicale italiana, all’emittente radiofonica Rete Toscana Classica, e ha al suo attivo pubblicazioni di peso sul melodramma italiano dell’Ottocento.
I due drammaturghi spagnoli messi a frutto da Verdi sono Antonio García Gutiérrez (1813-1884) e Ángel de Saavedra, duca di Rivas (1791-1865). Il primo aveva studiato medicina. Sbarcava il lunario traducendo Scribe e Dumas. Nel 1833, ventenne, mieté un successo folgorante col “dramma cavalleresco” El trovador: povero in canna, impegnato nel servizio militare, dovette farsi prestare da un amico un abito civile per presentarsi al proscenio. Dieci anni dopo, un secondo successo, Simón Bocanegra. Acclamato in patria, per tirare avanti dovette nondimeno emigrare: esercitò il giornalismo a Cuba e negli Stati Uniti. Ma il tempo fu galantuomo: tornato a Madrid, divenne infine direttore del Museo archeologico. Diverso il caso di Ángel de Saavedra, rampollo dell’alta nobiltà, drammaturgo, pittore, storico, infine politico. Ardente liberale, nel 1823 fu condannato a morte per aver congiurato in un colpo di Stato; riparò in Inghilterra, a Malta, a Parigi. Amnistiato nel 1833, passò al moderatismo e via via assunse incarichi di spicco: tra l’altro, fu ambasciatore a Napoli e a Parigi, presidente del Consiglio di Stato, direttore della Real Academia Española. Il suo Don Álvaro o La fuerza del sino (1835), vessillo del romanticismo spagnolo, ne consacrò durevolmente la fama.
Di quest’ultimo dramma, fonte della Forza del destino, uscirono due traduzioni italiane: Verdi possedeva quella di Francesco Sanseverino (1850). I drammi di García Gutiérrez invece non furono mai tradotti. Non si sa come ne avesse avuta notizia Verdi, che non conosceva lo spagnolo. Lo dovette aiutare la consorte, Giuseppina Strepponi, colta e poliglotta. Lei leggeva e traduceva, lui tracciava l’ossatura del dramma, articolato in arie, duetti eccetera, e già immaginava la “tinta” della musica che avrebbe composto. Fino ad oggi i due drammi romantici di García Gutiérrez non erano disponibili in italiano: ora finalmente il libro di Todde li presenta con la versione italiana a fronte, unitamente al Don Álvaro nella traduzione ottocentesca di Sanseverino.
La lettura degli originali è rivelatrice. Delucida talune oscurità dei tre melodrammi verdiani. Le trame dei drammi sono infatti intessute di equivoci, scambi di persona, dialoghi sibillini, svelati via via mediante colpi di scena sorprendenti. Ma il libretto d’opera impone una stringatezza che offusca i nessi logici, e spesso lo spettatore si smarrisce. In più, il confronto con i drammi di partenza mette in luce le varianti imposte dagli usi operistici. Così il Simón Bocanegra, una vicenda tutta avvolta nell’ombra dei complotti e delle congiure di palazzo, nell’opera dovette per forza aggiungere almeno un episodio pubblico che facesse scalpore; nella versione riveduta del 1881, è la grandiosa scena del Consiglio ducale: una vistosa interpolazione rispetto al dramma originale.
I drammaturghi romantici spagnoli si rifanno a Victor Hugo, e indirettamente a Shakespeare. Mescolano personaggi nobili e plebei; usano la prosa per questi ultimi, i versi per gli aristocratici. Alludono a vicende storiche precise, e perciò non badano alle unità di tempo, luogo e azione: la storia del Bocanegra abbraccia ventiquattro anni, quella del Don Álvaro si estende da Siviglia a Velletri. Ma soprattutto risalta una tematica: la cieca brutalità del destino. La volontà dei singoli, anche i più pugnaci, si infrange contro avversità inesorabili: nessuno può sconfiggere la sorte maligna. Un altro tema dominante, congeniale a Verdi, è l’esecrazione della vendetta (si pensi a Nabucco, Ernani, Rigoletto, Un ballo in maschera, Don Carlos, Aida).
Todde fa precedere ciascun dramma da un saggio apposito. Illustra il percorso dalla fonte al melodramma. Riferisce biografia, attività, produzione dei due drammaturghi spagnoli. Tratteggia i caratteri dei singoli drammi, le trame, la fortuna. Indaga i motivi della scelta di Verdi e i criteri dell’elaborazione. Considera i rapporti con i librettisti – Francesco Maria Piave per Boccanegra e Forza del destino, Salvadore Cammarano per Il trovatore –, dall’abbozzo dell’azione scenica alla stesura finale. Accenna anche alla musica, alla strumentazione, ai cantanti della Prima, al rapporto di Verdi con gli impresari di Roma, Venezia, Pietroburgo, Milano. Emerge un ampio quadro di percorsi artistici complessi, intricati, fruttuosi, che cattura il lettore.
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Nella foto d’archivio – Una scena del Trovatore di Giuseppe Verdi nell’allestimento del Gran Teatre del Liceu di Barcellona nel 2017, sotto la direzione di Joan Anton Rechi