Il Grande Fratello Vip il giorno dopo la diretta: lo spettacolo televisivo Mediaset ha dimostrato l’inadeguatezza nel trattare il problema, planetario, della salute mentale. Dopo l’abbandono di Marco Bellavia, concorrente affetto da disturbi psichici, sono emersi in modo evidente la cattiva coscienza e il tentativo disperato da parte della produzione del programma di mantenere la barra dritta davanti all’ondata oceanica di critiche degli spettatori indignati per come lo stigma si sia manifestato fra le mura di compensato del set di una casa televisiva.

Si è assistito allo show per nulla edificante delle professioni di innocenza, dell’ennesima spettacolarizzazione dei sensi di colpa da parte di chi temeva forse solo l’uscita dal palcoscenico del programma e di quanto questa potesse rovinare la popolarità o una nuova occasione di carriera. Inadeguatezza che è stata manifestata anche dal presentatore e dagli autori che, evidentemente inconsapevoli dell’incandescenza del tema trattato, hanno scaraventato una persona fragile, Marco Bellavia, in un contesto stressante che, per colpa di molti se non tutti, ha portato al suo scompenso psichico.

La trasmissione ha dedicato molto spazio alla vicenda ma nel modo sbagliato, cioè applicandole la struttura del programma, fatta di eliminazioni dal gioco e televoti, per una situazione che avrebbe meritato uno sviluppo più accurato, dedicando uno spazio di riflessione a un tema che investe in modo pandemico decine di migliaia di persone vittime di notevoli sofferenze. Certo non c’era il tempo per farlo, visto che parliamo di una trasmissione in corso d’opera; è il caso di dire che gli è scappata la situazione di mano. Ma non si può, non si deve voltare pagina perché quanto proposto ieri sera dal programma non risponde in modo soddisfacente a una vicenda che va oltre il caso personale.

Marco Bellavia, secondo il racconto del concorrente Charlie Gnocchi, era una persona che ha calcato le scene televisive molti anni fa grazie al talento e alla freschezza giovanile ma con momenti di eccessiva esuberanza che hanno determinato il suo allontanamento dal mondo dello spettacolo. Della persona che conosceva, Gnocchi ha ritrovato solo l’ossessione, sopra le righe, di chi ha perso tutto. Questa è forse la testimonianza più interessante, perché traccia in modo adeguato l’esordio di un malessere che distrugge una carriera e isola l’individuo. È un percorso molto comune fra gli utenti dei centri di salute mentale, dove si contano anche persone con alti gradi di istruzione e brillanti carriere stroncate in un attimo dalla deflagrazione dell’esordio psicotico.

Una cosa è certa: da quel momento la vita cambia radicalmente. Ne inizia una completamente diversa improntata sulla disabilità lavorativa, sociale, comportamentale ed emotiva. Da quel momento si viene percepiti come il fantasma di se stesso, lo scocciatore, il malato cronico che porta una tensione insopportabile condita di geremiadi ed entusiasmi esplosivi, immotivati: ecco il ritratto che “il normale” fa del malato, quello che Charlie Gnocchi ha dipinto dell’ex collega Marco Bellavia. Un ritratto generico, cinico, senza alcuna empatia.

È difficile vivere accanto a una persona con disturbi mentali? Lo è quasi sempre, chiedetelo ai familiari. Ma se una produzione televisiva inserisce nel gioco chi, suo malgrado, incarna la persona affetta da un malessere esistenziale dichiarato fin dall’inizio è compito della comunità, anche se convivente nello spazio ridotto di un appartamento di scena, includere lo svantaggiato. Magari con l’aiuto del team di psicologi di cui si è spesso parlato in trasmissione.

Poteva essere uno spettacolo importante, di grande rilevanza soprattutto in questo periodo in cui il disagio si sta manifestando in modo sempre più frequente nella nostra società. In cui c’è bisogno di esempi positivi per la collettività. Poteva essere l’occasione per dimostrare che la solidarietà è la risposta, soprattutto davanti al coraggio di dire eccomi, sono questo e chiedo il vostro aiuto per affrontarmi e affrontare questa esperienza, con il mio carico di angosce e psicofarmaci. Come l’inclusione che si deve alle persone transessuali, alle persone sieropositive, a chiunque viva sulla propria pelle l’emarginazione a causa della sua identità o della sua malattia.

E nel caso delle malattie mentali cronicizzate, per un uomo di quasi sessant’anni che ne ha passati probabilmente più di metà in una condizione di dolore, la propria malattia è ormai parte della propria identità. Il diritto riconosciuto a essere se stessi senza emarginazione è l’unica soluzione possibile per dare la giusta dignità a una vita. È il diritto di trovare negli altri lo sforzo di essere, se non compreso, almeno accettato.

Lo spaccato al quale abbiamo assistito ieri in televisione è quello della vita reale. Ma questa verità non deve essere un alibi per la trasmissione. Perché al Grande Fratello non si racconta la cronaca come nell’informazione. Non si può passare, come abbiamo assistito ieri, dalla ferita ancora aperta alle risate senza soluzione di continuità.

Il “ma ora cambiamo registro” è in questo caso più che grottesco: è spietato. Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale incisivo e il Grande Fratello Vip ha ancora l’occasione di approfittare della circostanza per fare la sua parte con un gesto importante, che potrebbe essere dare un piccolo spazio a un’associazione, a un operatore della salute mentale o anche solamente a un familiare per spiegare a tutte e tutti, sia agli ospiti della casa che agli spettatori, cosa significhi la malattia mentale.

Perché dai commenti che abbiamo sentito ieri in e fuori onda, sembra che la “ramanzina” imposta dalla decenza sia stata non solo poca cosa rispetto alla gravità dell’argomento ma addirittura, fra carezze e proteste di sensibilità civile, rifiutata e non compresa. Dentro la casa, nelle “live”, si dichiara ancora la propria estraneità ed è evidente che il messaggio non è stato recepito. Non hanno proprio compreso la gravità sociale e sanitaria del problema che si è verificato. Questa ignoranza e sottovalutazione diffusa è la tragedia nella tragedia delle malattie mentali.

Avanti, autori e conduttore: ci sono altre puntate in cui rimediare e risarcire moralmente le parti in causa dando il giusto rilievo a questo tema. ‘Nessuno resti indietro’ è il motto scelto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come slogan in favore delle persone con fragilità psichiche, ma sembra essere anche un suggerimento per il Grande Fratello. Potrebbe ad esempio essere così: lunedì 10 ottobre, data se non sbaglio di una prossima diretta, sarà la giornata mondiale della salute mentale. Organizzate qualcosa di appropriato. È un’occasione unica per inserire, nel sacrosanto intrattenimento televisivo, qualcosa che sappia informare e fare ragionare senza rinunciare alle emozioni. Il più grande show televisivo dell’anno. Quello più umano.

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