È sparita insieme alla figlia di undici anni e non ha lasciato tracce. Marina Ovsyannikova, la giornalista che a marzo ha sorpreso il mondo presentandosi in diretta sulla tv russa con un cartello con scritto “No War” a caratteri cubitali, è stata inserita dalle autorità russe nella lista dei ricercati perché sarebbe evasa dai domiciliari, secondo quanto raccontato pochi giorni fa dal suo ex marito alla tv filo-Cremlino Russia Today. Della vicenda però si sa ancora poco, e soprattutto non è chiaro dove sia adesso la giornalista. La donna si trovava agli arresti da agosto con l’accusa di aver diffuso informazioni false sulle forze armate di Mosca.
Anche l’avvocato della reporter, Dmitry Zakhvatov, ha detto a Novaya Gazeta Europa di non sapere nulla di un’eventuale “fuga” della sua cliente. Poi però all’Afp ha spiegato che Ovsyannikova “è stata posta nella lista dei ricercati per il fatto che non si trova dove doveva essere fino al 9 ottobre“, cioè fino alla fine dei domiciliari che le sono stati imposti in attesa di essere sottoposta a processo per un’accusa politica e per la quale rischia addirittura dieci anni di reclusione: aver avuto il coraggio di protestare contro il conflitto in Ucraina. L’imputazione ufficialmente è quella di “diffusione di notizie false sull’esercito russo”, ma si tratta della legge varata a marzo che prevede fino a 15 anni di reclusione per chi critica l’invasione.
Nonostante il feroce giro di vite sul dissenso, in questi mesi Ovsyannikova non ha mai smesso di schierarsi contro quella che il Cremlino si ostina a chiamare “operazione militare speciale”, nella quale hanno perso la vita decine di migliaia di persone. A luglio la reporter ha manifestato da sola piazzandosi in una via non lontana dal Cremlino con in mano un cartello in cui definiva Vladimir Putin “un assassino” e denunciava la morte di bambini in Ucraina, mentre sul marciapiede c’erano due bambole e un peluche sporchi di vernice rossa. È proprio per questa protesta contro le atrocità dell’offensiva ordinata da Putin che Marina Ovsyannikova rischia ora dieci anni di reclusione e ad agosto un tribunale le ha imposto i domiciliari.
Quella di Ovsyannikova è purtroppo una delle tante vicende di repressione politica in Russia, dove per la legge “bavaglio” che criminalizza la condanna del conflitto sono già stati arrestati alcuni dei più noti oppositori russi, come Ilia Yashin e Vladimir Kara-Murza, mentre Alexey Gorinov è stato condannato a quasi sette anni di reclusione.