di Stefano Briganti
Purtroppo si è arrivati all’ultimo scalino dell’escalation oltre il quale c’è la terza guerra mondiale. Nel 2007, alla conferenza di Monaco, una persona con una pericolosa sindrome da imperialismo, ovvero Putin, aveva lanciato un segnale chiaro. Discutibili o no i fatti risalenti alla disgregazione dell’Urss e le assicurazioni “not one inch eastward” di James Baker a Mikhail Gorbachev del 1990 riferita alla espansione Nato nei paesi ex Ussr, Putin aveva indicato proprio nell’avvenuto allargamento a est una minaccia alla Federazione Russa. Indicazione rimasta inascoltata e ignorata dalle diplomazie occidentali e dagli organismi internazionali.
Da anni gli Usa sapevano che l’Ucraina rivestiva un ruolo chiave nei Balcani. Dopo il Maidan, nel 2014, l’Ucraina, non ancora Nato e considerata a torto da Mosca come una parte storica della Russia, aveva ricevuto una richiesta di indipendenza da parte dei territori russofoni del Donbass. La risposta di Kiev fu talmente autoritaria da portare ad una sanguinosa guerra civile con il Donbass appoggiato dalla Russia, mentre gli Usa davano armi a Kiev e la Nato organizzava in Ucraina la grande operazione “Rapid Trident” nel 2021. Putin, in linea con la dichiarazione del 2007, ha considerato tutto questo una provocazione e ha schierato truppe ai confini con l’Ucraina, dettando le condizioni per non varcare il confine.
Anche in questo caso le parole e le richieste di Putin sono state ignorate e anzi dileggiate. Dal giorno dopo l’invasione russa in Ucraina l’Occidente ha scatenato due guerre contro la Russia. La prima economica, con l’intento di indebolire l’economia russa e rallentarne la macchina bellica. La seconda sul campo, con invii di armi all’Ucraina. Oggi sappiamo che la prima non ha rallentato la macchina bellica russa ma ha schiantato l’economia europea, mentre la seconda, in un crescendo esponenziale, ha coinvolto sempre di più l’occidente con armi sempre più potenti, istruttori, consulenti di guerra e mercenari. La mossa dell’annessione del Donbass prelude a un casus belli.
I cittadini del Donbass, dopo otto anni di martellamenti da parte di Kiev e sei mesi a fianco dei russi contro l’esercito ucraino avevano due scelte: restare con l’Ucraina e affrontare la vendetta di Kiev per averla combattuta o andare con la Russia auspicandone la protezione. Per Putin, e per le forze ultranazionaliste interne che lo pressano, è assolutamente ininfluente che il mondo non riconosca l’annessione. Sapeva che non ci sarebbe stata, ma questa annessione gli consentirà di dichiarare davvero guerra all’Ucraina, se Kiev dovesse bombardare i “territori annessi”, passando da una “operazione speciale” regionale ad una guerra su tutta l’Ucraina.
È possibile che prima di ricorrere ad armi nucleari, Mosca scatenerà tutta la sua potenza militare e Kiev e le principali città ucraine saranno un obiettivo “giustificato” dall’azione militare. Il conflitto “regionale” nel Donbass si allargherà ad una guerra in Ucraina con forze militari molto diverse. Ad oggi gran parte dell’Ucraina non è toccata dalla guerra, ma cosa accadrà dopo? L’Ucraina ha un problema di “saturazione” ovvero, per motivi di manpower, non potrebbe utilizzare più di una certa quantità di sofisticate armi occidentali, specie se si allarga il territorio da difendere. Mosca ha un esercito numericamente strutturato per gestire il suo intero, enorme, arsenale militare.
In sette mesi di conflitto, ci sono state certamente perdite di armamenti russi, la cui entità viene comunicata ai media da Kiev (quanto attendibile?) ma a noi nessuno dice chiaramente quanta è la reale potenza di fuoco convenzionale di cui Mosca può ancora disporre. Sicuramente il burattinaio “tira i fili”, lo sa benissimo, ma fa continuare l’orribile guerra per i propri tornaconti. Infine, se Mosca mai decidesse di usare l’arma nucleare sull’Ucraina, crediamo davvero che Usa, Francia o Uk lancerebbero bombe nucleari sulla Russia in risposta?