Secondo quanto rivelato dal Washington Post, Trump chiese a uno dei suoi legali, Alex Cannon, di dire agli Archivi nazionali che i documenti portati via dalla Casa Bianca erano stati tutti riconsegnati. Ma dal blitz dell'Fbi a Mar-a-Lago è emerso che quella non era la verità
Continuano a emergere nuovi particolari sull’operazione dell’Fbi che ha portato al blitz nella residenza dell’ex presidente americano, Donald Trump, a Mar-a-Lago, nel corso della quale il Federal Bureau ha sequestrato centinaia di documenti top secret sottratti dalla Casa Bianca. Particolari che, se confermati, aggraverebbero ulteriormente la posizione del tycoon che risulta indagato per spionaggio. Il Washington Post ha infatti pubblicato un articolo nel quale si legge che all’inizio del 2022, Trump chiese a uno dei suoi avvocati di dire agli Archivi nazionali che i documenti portati via dalla Casa Bianca erano stati tutti riconsegnati. L’avvocato rifiutò perché, riferiscono le fonti, non era convinto che fosse la verità. In effetti, il blitz dell’Fbi nella residenza del tycoon a Mar-a-Lago ha rivelato che migliaia di carte, tra le quali centinaia classificate come top secret, non erano state riconsegnate dall’ex presidente.
L’avvocato dell’ex presidente, Alex Cannon, aveva svolto il ruolo di mediatore tra Trump e gli Archivi che per oltre un anno avevano cercato di riavere i documenti presidenziali originali, come previsto dalla legge. Alla fine, dopo mesi di ostruzionismo da parte dei legali del tycoon, a gennaio di quest’anno sono state riconsegnate 15 scatole di carte che erano state portate in Florida.
Le fonti raccontano che sia stato lo stesso Trump a imballare i documenti. Quindi, l’ex presidente ha chiesto a Cannon di riferire agli Archivi che “tutto ciò che avevano chiesto” era stato riconsegnato. Ma l’avvocato, ex legale della Trump Organization che ha lavorato anche per la campagna elettorale e per il tycoon una volta eletto, si è opposto dicendo di non essere sicuro se nel resort di Mar-a-Lago ci fossero altre carte.