La responsabilità nella gestione dell'ordine pubblico in Iran non è a carico di un'unica istituzione ma "condivisa" tra diverse agenzie ufficiali e semi ufficiali. Se le manifestazioni sono particolarmente partecipate e se le autorità le classificano come "minacciose" per l'ordine pubblico, entrano in azione le "unità speciali" spesso brandendo manganelli, spray al peperoncino, lacrimogeni e granate stordenti. Ma dal 2017 è diffuso l'uso di proiettili veri o di gomma
Le proteste che vanno avanti da ormai due settimane in diverse città iraniane hanno posto sotto la luce dei riflettori le capacità repressive delle agenzie di sicurezza della Repubblica Islamica: sono centinaia gli arresti e decine le vittime civili degli scontri con polizia e altri corpi statali. La responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico in Iran non è però a carico di un’unica istituzione ma “condivisa” tra diverse agenzie ufficiali e semi ufficiali.
Innanzitutto c’è l’intelligence delle Guardie della Rivoluzione (da non confondere con il Mois, il ministero dell’Intelligence), creata dalla Guida Suprema Ali Khamenei nel 2009 dopo le proteste per la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, alla cui testa è rimasto per 13 anni Hossein Taeb, rimpiazzato lo scorso gennaio dal generale Mohammad Kazemi. C’è poi la Polizia di Stato (Faraja), nata nel 1992 dalla fusione della Shahrbani (corpo creato in epoca Qajar), della Gendarmeria e dei comitati rivoluzionari islamici sorti con la rivoluzione del 1979. Tra chi guida la lotta al dissenso c’è, appunto, anche il ministero dell’Intelligence, alla guida del quale dall’agosto 2021 c’è Esmail Khatib, al quale si aggiungono i Basij, forze paramilitari sotto forma di volontari e non, impiegati sia nelle attività di repressione che in quelle di raccolta di informazioni, e la sede Thar Allah (o Sarollah) dell’Irgc, incaricata di gestire la sicurezza nell’area metropolitana della capitale Teheran, ma anche di prendere in mano la situazione in modo più organico nei casi in cui le proteste o i disordini assumano una dimensione nazionale.
Si tratta di agenzie autonome tra loro, che entrano in azione in momenti diversi dietro coordinamento da parte del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale presieduto dalla Guida Suprema, dal presidente Ebrahim Raisi, dal ministro dell’Interno Abdolreza Rahmani Fazli, dal capo della Giustizia Gholam Hossein Mohseni Eje’i e dai vari comandanti dell’Irgc e dell’Esercito nazionale. In questa sede, come ricorda il ricercatore iraniano Ehsan Mehrabi, vengono prese le decisioni su come affrontare le ondate di protesta e anche l’ordine con cui queste agenzie intervengono sul terreno.
In ognuna delle province iraniane c’è una sede del Consiglio di sicurezza a cui prendono parte il governatore provinciale, rappresentanti locali dell’Irgc, distaccamenti della polizia locale e dell’intelligence. A loro spetta la gestione della sicurezza nella provincia e quindi anche la prima fase di valutazione di una data protesta. La prima linea di intervento è costituita generalmente dalla polizia, che esprime anche la Gasht-e Ershad, ossia le pattuglie – composte sia da agenti maschili che femminili – della cosiddetta “polizia morale”, quella che ha fermato la 22enne Mahsa Amini, poi morta in custodia.
Se le manifestazioni sono particolarmente partecipate e se le autorità le classificano come “minacciose” per l’ordine pubblico, entrano in azione le “unità speciali” che in questo frangente sono coadiuvate dal personale dell’Irgc e dai Basij, altamente ideologizzati, che normalmente si riconoscono perché indossano abiti civili di colore nero, e sono parte integrante delle stesse unità speciali. Si muovono a piedi o in motocicletta, spesso brandendo manganelli, spray al peperoncino, lacrimogeni e granate stordenti. Il capo delle Unità speciali, generale Hassan Karami, nell’aprile 2021 è stato aggiunto dall’Unione europea alla lista di soggetti sotto sanzioni.
In questa ondata di manifestazioni la presenza della polizia è stata sin da subito più massiccia rispetto alle precedenti nel 2019 e 2020, soprattutto in aree notoriamente “monitorate” come la regione del Kurdistan iraniano, tra le più attive nonché quella da cui proveniva Mahsa Amini. Le regole d’ingaggio per la polizia, nelle fasi iniziali di una protesta, prevedono che non si spari ai manifestanti ma ci si limiti a disperderli con lacrimogeni e altri strumenti, oltre a procedere con fermi e arresti. Ciò nella prassi è cambiato decisamente nel corso delle proteste del 2017, durante le quali la polizia ha fatto ampio ricorso a proiettili di gomma ma anche a quelli veri che durante le manifestazioni del 2019 hanno causato la morte di circa 1.500 persone.
Tra le proteste del 2019 e quelle attuali c’è stato un cambiamento istituzionale importante, cioè una riforma strutturale degli stessi corpi di polizia che ora hanno più poteri e operano in più stretto coordinamento con il ministero dell’Intelligence (Mois) e con l’intelligence dell’Irgc. Un’altra novità di queste proteste, poi, è l’impiego di agenti anti sommossa anche di sesso femminile, la cui formazione era stata annunciata lo scorso anno dal generale Karami, laddove fino allo scorso anno le brigate femminili avevano solo mansioni legate al monitoraggio del dress code. Soprattutto durante manifestazioni particolarmente partecipate, sia personale dei Basij che dell’Irgc agiscono in borghese, cercando di infiltrarsi per raccogliere informazioni sui manifestanti ma anche, talvolta, occupandosi direttamente dei fermi e degli arresti.
In uno Stato fortemente ideologizzato, nato da una rivoluzione, ai Basij si aggiungono anche altri gruppi “sobillatori” e vigilanti particolarmente oltranzisti: per esempio Ansar-e hezbollah, attiva dagli anni 90, che di solito attacca i raggruppamenti politici che rigettano pubblicamente l’autorità della Guida Suprema. Secondo diverse fonti nel corso degli anni, tra i Basij e questi altri corpi, abbondano i pregiudicati e i condannati che sperano di poter “commutare” la pena.
“Abbiamo identificato e monitorato circa 5.000 criminali violenti e all’inizio gli abbiamo ordinato di rimanere a casa in caso di dilagare delle proteste. Ma poi ho pensato ‘perché non farne un uso?’. Così, ho deciso di organizzarli in tre diversi reggimenti, per gestire le proteste in nostra vece. Avevo ragione e se vogliamo addestrare chi combatte i vandali abbiamo bisogno di questo tipo di soggetti violenti, che non hanno paura di qualche goccia di sangue”, aveva dichiarato qualche tempo fa il generale Hossein Hamedani nel confermare che questo genere di soggetti viene impiegato sin dalle proteste del 2009.
Come accennato, se le proteste si diffondono nel Paese, è la Thar Allah a gestire la situazione. Se la situazione è ritenuta critica, è la Thar Allah che si occupa di ritirare dalle strade il personale dei Basij e sostituirli con personale dell’Irgc, molto meglio addestrato. Tranne che in rari casi, come nella turbolenta provincia del Khuzestan, l’Esercito (Artesh) rimane a guardare e a sorveglianza degli edifici governativi o ritenuti sensibili