Ian Fleming, il papà letterario di 007, lasciò questo mondo il 12 agosto ’64, poco meno di due anni dopo la premiere mondiale del primo film, Dr. No, sulla sua creatura (era il suo sesto romanzo, del ’58, su 007). Era il 5 ottobre ’62, un venerdì di sessant’anni fa. In Italia verrà distribuito due anni dopo come Agente 007-Licenza di uccidere. In realtà, quel giorno, di anteprime se ne tennero cinque, al London Pavilion (sul lato nord-est di Piccadilly Circus). Ma alle 20:50 ci fu l’evento a cui parteciparono Sean Connery, Zena Marshall (Miss Taro), Terence Young, il regista, ed Harry Saltzman e Albert R. Broccoli, i due produttori, oltre al compositore Monty Norman e a Ian Fleming che portò con sé lo scrittore Somerset Maugham.

Seguì un party al Milroy Nightclub, all’interno dell’Ambassadeurs Casino, la stessa casa da gioco che era stata ricreata ai Pinewood Studios e che fece da teatro, al tavolo di chemin de fer, per l’incontro fra la prima Bond girl (in ordine assoluto di apparizione), ovvero la splendida Sylvia Trench (Eunice Gayson, scomparsa a 90 anni, nel 2018), alla quale l’agente segreto si rivolge per la prima volta con la nota frase: “Bond, James Bond“. Connery surclassò pezzi da novanta come Patrick McGoohan, Cary Grant, David Niven, James Mason.

In effetti, per assegnare la parte di 007, si tenne una sorta di concorso: Connery (che se n’è andato, novantenne, il 31 ottobre 2020, mantenendosi, fino a tarda vecchiaia, in splendida forma) non fu preso in quella selezione e per di più non piaceva a Fleming, ma il produttore Broccoli intuì le sue potenzialità e si incaponì su quel giovanotto scozzese più o meno sconosciuto che aveva abbandonato gli studi a 13 anni cominciando a lavorare come pasticcere, poi piegatore di metalli, poi ancora minatore, per approdare, infine, a film non memorabili (fra i quali A 077, dalla Francia senza amore, ’61, di Cyril Frankel che, paradossalmente anticipa, ma solo nel titolo, la carriera conneriana di agente segreto e Darby O’Gill e il re dei folletti (’59) un film della Disney dove lo notò Broccoli… Connery sarà un protagonista di enorme successo di questo e altri sei successivi 007 e, già nel ’64, fu consacrato divo dal grande Hitchcock in Marnie).

Un’accoglienza di pubblico straordinaria: in alcuni cinema proiettato 24 ore su 24, il film costò un milione di dollari e ne incassò più di 60! Con gran dispiacere della Columbia che lo rifiutò e con gran soddisfazione della United Artists che disse invece sì ai produttori. In questo primo 007, troviamo inizialmente Bond in Giamaica. Se la dovrà vedere con il folle dr. No, un orientale (l’attore, Joseph Wisemam, è in realtà canadese e di asiatico ha solo la giacca alla coreana e gli occhi un po’ tirati ai lati). Il dr. No fa parte della fantomatica Spectre «supremo esecutivo per controspionaggio, terrorismo, ritorsione, estorsione, dominazione del mondo».

“Il solito sogno, il mondo è pieno di gente che crede di essere Napoleone o Dio” ribatterà, fumando, l’agente di Sua Maestà Elisabetta II, il cui nome, James Bond, fu scelto da Fleming, amante del birdwatching (sostituendo l’iniziale Secretan) in omaggio a un ornitologo americano che portava quel nome. Al di là della mitizzazione, il film, visto oggi, a differenza dei successivi, può apparire un po’ sempliciotto, anche se comunque assai godibile. Pare sia piaciuto, per alcuni aspetti scenografici, anche a Stanley Kubrick. Sean Connery aveva cominciato a perdere i capelli da ragazzo e nel film indossa un parrucchino, inoltre era terrorizzato dai ragni e, per la scena della (vera) tarantola nel letto pare abbia preteso, per le scene più ravvicinate, lo stuntman Bob Simmons (lo riferisce Steven Jay Rubin nel suo libro The James Bond Films, ’81).

Christopher Lee, cugino di Ian Fleming, avrebbe dovuto interpretare il dottor No, ma non se ne fece nulla, come pure con Max Von Sidow, in quel periodo interprete di Cristo. Poi ci sono le Bond girl: nonostante la bellezza di Eunice Gayson, la più ricordata nel dr. No è la svizzera Ursula Andress che esce dalle acque come Venere davanti a Bond con il suo bikini bianco con slip cinturato (per allora osé, oggi castissimo). “Non ho fatto nulla”, ha detto Ursula, 90 anni ottimamente portati, “sono solo uscita dall’acqua…“. Beh, quello è bastato… E pensare che, nel romanzo, usciva dal mare nuda… Quel bikini, il 14 febbraio 2001, è stato venduto all’asta, a Londra, da Christie’s, per per 35.000 sterline.

Come pure le auto e gli oggetti di Bond (nel Dr. No non ha ancora l’Aston Martin e si limita a una Sunbeam Alpine Roadster). Non la conosceva nessuno la Andress (aveva fatto una piccola apparizione accanto ad Alberto Sordi in Un americano a Roma, ’54, di Steno). Fu una sua foto, vista in un’ agenzia da uno dei produttori, a farla assumere, racconta lei stessa. Certo, Ursula è molto più sexy con il ben più ridotto costume che indossa ne La decima vittima (’65) di Elio Petri, ma, tant’è, il bikini del Dr. No resta nell’immaginario sessuale di molti e ha innescato, subito dopo, un processo imitativo senza precedenti fra le donne (si vendeva a prezzi salatissimi da Saks sulla Fifth Avenue a New York). Lei e Connery restarono amici, tanto che Sean è il padrino del figlio di Ursula, Dimitri Hamlin.

Non potendomi dilungare oltre sui tanti altri 007 con Connery e con altri – senza considerare i tarocchi nostrani, persino con i grandi Franco e Ciccio – mi limito a ricordare un momento comune a tutti gli 007: la cosiddetta “sequenza Gunbarrel”, ideata da Maurice Binder. Sui titoli di testa di ogni Bond-film, con il sottofondo delle indimenticabili note di Monty Norman, appare un’inquadratura realizzata attraverso la canna di una pistola. Davanti c’è un uomo in smoking che si gira e spara al cecchino. Una vera icona bondiana.

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