L’agenzia di rating statunitense Moody’s, che dopo le elezioni ha rimandato l’aggiornamento del suo giudizio sull’Italia aspettando la formazione di un nuovo governo, avvisa che la valutazione potrebbe essere ridotta in assenza di riforme. “Probabilmente declasseremmo i rating dell’Italia se dovessimo vedere un significativo indebolimento delle prospettive di crescita di medio termine del Paese, a causa della mancata attuazione delle riforme a favore della crescita, comprese quelle delineate nel Pnrr”, scrivono gli analisti in un report di aggiornamento. Anche “politiche fiscali e/o economiche che indeboliscono il sentiment del mercato e l’aumento dei livelli di indebitamento nel medio termine” porterebbero al ribasso dei rating dall’attuale Baa3.
Moody’s evidenzia i fattori che porterebbero a un cambio del rating sull’Italia, anche in positivo. “Sebbene sia improbabile un aumento del rating nel prossimo futuro, prenderemmo in considerazione la possibilità di cambiare l’outlook a stabile (da negativo, ndr) se” ci fosse la prova “che il prossimo governo è impegnato nell’attuazione di riforme strutturali a sostegno della crescita, comprese quelle delineate nel Pnrr” e se questa “fosse accompagnata da un credibile piano di risanamento di bilancio a medio termine che impedirebbe un aumento significativo del debito”.
Il giudizio di rating fotografa l’affidabilità di un debitore e la sua capacità presunta di ripagare le sue obbligazioni. Nel caso di una nazione sovrana significa pagare regolarmente gli interessi sui titoli di Stato e rimborsarli una volta che arrivano a scadenza. Oltre a Moody’s le altre agenzie più importanti al mondo sono Standard & Poor’s e Fitch. Nel caso di Moody’s i voti vanno da Aaa, che indica il massimo livello di affidabilità, a Ca, che indica il livello subito prima dell’insolvenza (D di default). Al si sotto di una valutazione A3 l’investimento in quel titolo viene considerato speculativo. Il giudizio delle agenzie di rating è tenuto in considerazione anche dalla Banca centrale europea, al di sotto di un certo livello di affidabilità, i titoli di Stato non possono essere inclusi nei programmi di acquisto, noti come quantitative easing.