Negli anni Settanta in Europa del nord (Svezia, Regno Unito, Olanda), nascono le prime esperienze di “Riduzione del danno” – che iniziano a diffondersi in Italia dai Novanta – cioè un insieme di forme di intervento utili per ridurre le conseguenze (fisiche e sociali) negative associate ad alcuni tipi di comportamenti, come l’assunzione di stupefacenti. In particolare, si cercò di far fronte all’aumento di casi di Hiv legati all’assunzione di sostanze per via iniettiva, creando un’alternativa rispetto ad approcci più istituzionali, precipuamente stigmatizzanti, coercitivi e orientati verso strategie di contrasto, che si erano dimostrati del tutto inefficaci. A partire da qui, stili di consumo e significati culturali relativi all’utilizzo delle sostanze sono assai mutati negli ultimi anni e allo stesso modo c’è stata una trasformazione all’interno dei progetti di “Rdd”.

Nautilus nasce in questa cornice: è un progetto ideato e realizzato da 5 enti del privato sociale romano (Il Cammino, Parsec, Magliana 80, Folias, La Tenda). Questo progetto implica la presenza di operatrici e operatori nei contesti di consumo di sostanze, proponendo interventi integrati: medici, psicologici e educativi. Più nello specifico Nautilus prevede iniziative di informazione, soprattutto durante eventi, per sensibilizzare i consumatori sui rischi connessi all’assunzione di sostanze psicotrope, promuovendo condotte sicure e comportamenti che limitino le possibili conseguenze negative dell’uso e dell’abuso. Al contempo, con il progetto Nautilus si cerca di monitorare questi contesti, fuoriuscendo dalle logiche stigmatizzanti, per organizzare interventi in funzione dei bisogni reali espressi dai consumatori e per creare una rete di supporto anche più duratura. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con Isabella Iommetti, responsabile del progetto Nautilus, cercando di approfondire un’esperienza di fatto ancora poco conosciuta in Italia.

Come sono cambiate la Riduzione del danno e la limitazione dei rischi negli ultimi anni e rispetto alle loro origini?
Il cambiamento è stato sostanziale e si è evoluto con le trasformazioni della società. Se prima si parlava in termini di approcci emergenziali, soprattutto in relazione all’aumento dei casi diffusi di Hiv, a oggi la situazione è completamente diversa. Anzitutto la platea di consumatori è incredibilmente più variegata, non funziona più la costruzione sociale della “nicchia marginalizzata”. A questa pluralità dei soggetti si aggiunge quella dei luoghi e dei momenti diurni e notturni di consumo. Non si dimentichi inoltre che anche nicotina e alcol fanno parte delle sostanze psicoattive e la gamma dei consumatori si allarga ancora di più, numericamente e come tipologie. Non esiste un profilo di consumatore.

Come è nato il progetto Nautilus? Quali sono gli obiettivi principali, quali i maggiori problemi?
Nautilus nasce nel 2003 come unità mobile dedicata alla riduzione del danno e limitazione del rischio nei contesti di divertimento notturno, che essi siano legali o illegali. Questo progetto nasce in via sperimentale e, a oggi, è riconosciuto come servizio socio sanitario finanziato dalla Regione Lazio, con i fondi dell’Asl Roma 4. È un progetto che prevede il coinvolgimento di una equipe multidisciplinare e si pone come macro obiettivo la tutela della salute dei consumatori. A differenza di altri servizi sociosanitari, noi operiamo cercando di raggiungere i consumatori negli effettivi luoghi di consumo, così da fornire servizi diretti a informare, limitare i rischi e ridurre i danni del consumo.

Quali sono gli strumenti?
Gli strumenti che abbiamo sono molti e vanno dal fornire materiali sterili per il consumo, al primo soccorso; dal counseling, alla cooperazione con altri servizi sul territorio per intraprendere percorsi meno immediati e di più lunga durata. Recentemente abbiamo inserito tra i nostri servizi l’analisi delle sostanze, così da dar modo di valutare il consumo sulla base della consapevolezza di cosa contiene la sostanza, i suoi effetti, i suoi rischi.

E quali sono gli ostacoli?
I maggiori problemi riscontrati, invece, si legano soprattutto all’approccio maggioritariamente repressivo e di controllo sociale che caratterizza la visione politica del consumo delle sostanze. Riteniamo che tale approccio sia inefficace, perché demonizza ma non tutela: il consumo avviene comunque ed è bene che sia consapevole e attuato con strumenti di limitazione del rischio oltre che approcciato ex post in chiave di riduzione del danno. La difficoltà sta anche nell’attuale tentativo di dialogo con il sistema istituzionale, nella logica di portare la nostra offerta di servizio in modo sempre più diffuso sui territori.

Che ruolo ha lo stigma? Cosa maggiormente si ignora?
Lo stigma è ancora molto presente – meno solo per alcol e nicotina – e noi lavoriamo in modo non giudicante per contrastarlo. Questo vale per le sostanze ma, nondimeno, per malattie come l’Hiv, motivo per cui agiamo anche con screening rispetto a quest’ultimo. La società contemporanea, in particolare quella italiana, non contempla il soggetto consumatore, declassando a problema individuale un tema di salute pubblica. Spesso, inoltre, si ignora l’esistenza di una quotidianità diffusa di consumo e si decide di ignorarne le problematiche. Noi pensiamo, piuttosto, che sia utile riconoscerne la rilevanza sociale e che sia importante fornire strumenti, individuali e collettivi, di autoregolazione e tutela.

Che riscontro c’è in Italia? È diverso rispetto ad altrove?
In Italia esiste una rete di riduzione del danno che coinvolge enti, associazioni e operatori, di cui facciamo parte e che prevede anche la collaborazione per eventi di grande portata, soprattutto in regioni che hanno meno servizi specifici dedicati o meno fondi. In Italia la situazione è indubbiamente peggiore rispetto ad altri contesti europei, sia in termini di stigma sia per quanto riguarda fondi e dunque servizi attuabili, ma stiamo lavorando anche in cooperazione con altre realtà europee per allargare consapevolezza e offerte sul territorio nazionale. Ad esempio, stiamo partecipando a un progetto europeo, Scanner project, che riguarda l’indagine sulle NPS, cioè sulle nuove sostanze psicotrope. Il lavoro da fare è molto ma da molti anni noi, con il nostro progetto e in relazione con altre realtà, stiamo cercando di rendere limitazione del rischio e riduzione del danno sempre più diffuse, come pratiche e come consapevolezza culturale, sociale e politica.

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