Come all'inizio della pandemia, anche oggi gli Stati "piccoli e ricchi" dell'Unione europea - in primis l'Olanda - si mettono di traverso rispetto all'ipotesi di un risposta solidale europea e di un tetto al prezzo del gas. E Berlino, che ha deciso di fare da sola con un piano da 200 miliardi, non vuole un nuovo fondo per la crisi energetica. A Praga tra oggi e venerdì i leader sono chiamati a trovare una mediazione
Era il febbraio del 2018 quando per la prima volta furono chiamati “i 4 frugali“. Il coronavirus ancora non esisteva e Volodymyr Zelensky non aveva nemmeno cominciato la sua campagna per diventare presidente dell’Ucraina. Il Financial Times decise di ribattezzare così quei Paesi “più piccoli e più ricchi d’Europa” che avevano deciso di fare asse contro la proposta di bilancio 2021-27 formulata dalla Commissione Ue. Prima ancora che la pandemia e successivamente la guerra scatenata da Vladimir Putin travolgessero l’Unione europea, Austria, Danimarca, Olanda e Svezia divennero i Paesi frugali – ovvero “parsimoniosi” – che si opponevano a un aumento del budget Ue, che per loro avrebbe significato più contributi. Quando il Covid colpì l’Europa, l’asse dei quattro frugali, a cui si aggiunse anche la Finlandia, divenne il fronte rigorista che si opponeva al Recovery Fund e all’emissione di debito comune. Oggi, con il Vecchio Continente in ginocchio per la crisi energetica, i Paesi frugali stanno tornando a riunirsi, forti del sostegno della Germania. Finora hanno sventato la proposta di un tetto al prezzo del gas a livello comunitario, ma soprattutto è stata subito spernacchiata l’ipotesi lanciata dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton: la messa in campo di un fondo ad hoc, sul modello Sure, emettendo debito comune. Il nuovo fondo per la crisi energetica piace, tra gli altri, a Italia e Francia. Ma al momento appare molto lontano: Bruxelles è scettica, Germania e Olanda hanno già issato un muro. Giovedì e venerdì a Praga ci sarà il primo scontro aperto. E da un parte della barricata ci sarà, ancora una volta, l’asse dei frugali.
L’incontro Scholz-Rutte – “I prezzi elevati dell’energia rappresentano una grande sfida per tutti i membri dell’Ue. L’obiettivo è un approccio comune e coordinato all’interno dell’Ue”, ha affermato mercoledì il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, facendo visita al premier spagnolo Pedro Sánchez. Parole di circostanza. La rappresentazione plastica delle posizione tedesca è andata in scena il giorno prima, martedì: mentre a Lussemburgo il ministro delle Finanze tedesco, il falco e liberale Christian Lindner, bocciava sonoramente la proposta Gentiloni-Breton, in cancelleria a Berlino il cancelliere Scholz riceveva il collega olandese Mark Rutte. Risate, comunione d’intenti e bordate all’ipotesi di una solidarietà europea di fronte alla crisi del gas: “Non è una questione ideologica. Se mettiamo un tetto al prezzo del gas, e poi questo non ci arriva più in Europa, abbiamo un problema”, ha dichiarato Rutte. “Abbiamo un enorme programma da 750 miliardi di euro (il Recovery, ndr), la maggior parte dei quali non sono stati spesi, e che adesso possono essere efficaci. Questo va tenuto presente quando discutiamo di cose concrete fra di noi”, ha aggiunto Scholz. Quindi, semmai si usando i soldi già stanziati per la pandemia.
I no alla proposta Gentiloni-Breton – La riunione dei ministri delle Finanze a Lussemburgo è finita come era iniziata: divisioni tra i vari Stati membri e perfino nella Commissione. Difficile che tra giovedì e venerdì tra le mura del Castello di Praga l’Europa trovi una mediazione. “Solo una risposta di bilancio europea permetterà di rispondere efficacemente a questa crisi e di calmare la volatilità dei mercati finanziari”, hanno scritto Gentiloni e Breton. Ma per la Germania, parola di Lindner, “ulteriori proposte che siano basate sul programma Sure non sono giustificate in questo momento”. Poi è arrivato pure il no dell’Olanda: secondo la ministra delle Finanze Sigrid Kaag “un dispositivo Sure per l’energia non è necessario” e, dopo la crisi del Covid, “ci sono miliardi e miliardi disponibili che noi possiamo usare”. La proposta di un nuovo fondo comune “è l’opinione individuale di due commissari, non credo che sia l’opinione generale della Commissione europea. Avremo modo di discuterne”, ha rincarato il ministro delle Finanze austriaco, Magnus Brunner. Peraltro senza essere smentito, visto che il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer, ha bollato gli interventi di Gentiloni e Breton come “iniziative personali“.
Il piano da 200 miliardi di Berlino – L’altro punto d’attrito che finirà sul tavolo della discussione a Praga riguarda la mossa del governo tedesco, che ha annunciato un piano di aiuti interno da 200 miliardi di euro. Una fuga in avanti da parte della Germania, che grazie al suo spazio di bilancio dimostra di poter essere autonoma e di potersi permettere un maxi-scudo senza mandare in difficoltà i conti pubblici. I soldi, infatti, Scholz e Lindner li prenderanno dal fondo di stabilizzazione dell’economia per il Covid: contro la pandemia furono previsti inizialmente 600 miliardi, ma la Germania ne ha utilizzati finora solo 200. Quest’anno, considerando anche le altre misure a sostengo di famiglie e imprese, così come i fondi per il rinnovamento dell’esercito, il totale della spesa tedesca nel 2022 arriva a 400 miliardi, circa il 10% del Pil. Il rapporto debito–Pil tedesco ad oggi però è ancora sotto il 70%. Inoltre dal prossimo anno, per volere del ministro Lindner, la Germania tornerà al Schuldenbremse, il pareggio di bilancio sospeso durante la pandemia ma previsto dalla Costituzione. Il cancelliere Scholz ha difeso il piano, sottolineando che “alcuni Paesi già da tempo fanno quello che noi ci siamo preposti di fare per i prossimi anni”. Un chiaro riferimento in primis a Spagna e Francia, che in modo diverso hanno inserito un tetto al prezzo del gas nazionale. La grande differenza però è la potenza di fuoco che sosterrà le imprese tedesche: le aziende degli altri Paesi, con meno spazi di bilancio, faranno molta fatica a competere.
Il tetto al prezzo del gas – In una lettera preparata prima del summit di Praga Ursula von der Leyen ha abbandonata la parola “studiare” e inizia a sostituirla con “agire”. L’Ue si muove, quindi, ma chi si aspetta tempi rapidissimi resterà deluso. Anche sul price cap l’Europa è ancora spaccata sostanzialmente in due fazioni. La prima – il “nuovo” asse dei frugali – sostiene di poter agire a livello nazionale sul prezzo, senza intaccare quelli di importazione in Ue. Si tratta, in sostanza, dei Paesi che hanno elevato spazio di bilancio, Germania in testa. Dall’altra parte c’è chi sostiene la messa a punto di un cap comune: sono i Paesi ad alto debito, Italia compresa, che non possono certo mettere sul tavolo i duecento miliardi dello scudo tedesco. E che, nel caso il caro bollette non si fermi, rischiano danni alle loro industrie più energivore, con conseguenze che andrebbero ben oltre i confini nazionali.
Le differenze con la pandemia – La posizione della Germania di fronte a questa crisi è la grande differenza rispetto allo scontro che si consumò in Europa sul Recovery Fund. Nell’autunno 2019, quando il coronavirus cominciava già a circolare ma non aveva ancora travolto il mondo intero, a Bruxelles si consumò lo scontro sul bilancio europeo. Per via dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, il budget doveva essere rafforzato con un aumento dei contributi nazionali rispetto al bilancio precedente. I 4 frugali si opposero, e trovarono una sponda a Berlino, interessata a sua volta a difendere i cosiddetti rebate, ovvero gli sconti che l’Unione europea nel corso degli anni ha garantito ad alcuni Stati, Germania compresa. Durante la pandemia, però, Angela Merkel spiazzò i Paesi frugali, decidendo di presentare insieme a Emmanuel Macron la sua proposta di Recovery Fund, che poi fu fatta proprio dalla Commissione e approvata nel luglio 2020 dal Consiglio europeo.
L’altra battaglia: il ritorno a Maastricht – Proprio come durante la pandemia, anche l’impatto della crisi energetica sui vari Paesi è differente. Se due anni fa si decise per una risposta comune, questa volta tra gli Stati più colpiti c’è proprio la Germania, che ha preferito aiutarsi da sola. Ed è tornata a fare il gioco dei “frugali”. Per la verità anche su un altro fronte, ovvero il rientro nei parametri di Maastricht. “La Germania resta una sostenitrice della politica di stabilità“, ha sottolineato sempre Lindner a inizio agosto in una lunga intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt, durante la quale ha ribadito il suo categorico ‘no‘ alla modifica delle “pietre miliari” del trattato di Maastricht che fissano al 3% il limite del deficit annuo e al 60% il tetto del rapporto debito/Pil. Cambiarle “sarebbe il messaggio sbagliato”, ha detto il leader dei liberali. Nonostante il caro gas e la crisi che sta attraversando l’Europa, l’austerity deve tornare al più presto.
Le debolezze dei frugali – Parole che ovviamente piacciono ai vicini austriaci e più in generale a tutti i Paesi del Nord. Mentre sulla partita del gas in prima linea tra i frugali c’è soprattutto l’Olanda e Mark Rutte. Anche per motivi contingenti. I frugali hanno perso il loro leader Sebastian Kurz, l’ex cancelliere austriaco travolto dagli scandali. La prima ministra danese Mette Frederiksen ha convocato elezioni anticipate per il prossimo primo novembre. Finlandia e Svezia sono alle prese soprattutto con la minaccia russa. Ma l’asse Germania-Olanda, con gli altri frugali a sostegno, per ora è saldo. Anche se diversi osservatori ritengono che Berlino potrà diventare meno coriacea dopo le elezioni del 9 ottobre in Bassa Sassonia: i Liberali rischiano di rimanere fuori dal Parlamentino del Land, quindi fino ad allora è improbabile che il loro leader Lindner possa cedere su proposte invise agli elettori, come il tetto al prezzo del gas o, peggio ancora, un programma Ue finanziato con debito comune. E forse allora anche Germania e Olanda potranno accogliere l’appello del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “Nessun Paese da solo può far fronte a una crisi di questa portata”. Per adesso, però, i frugali sono tornati.