Alla vigilia della direzione Pd, tra analisi della sconfitta e proposte di scioglimento e rifondazione del partito, autocandidature e totonomi per la nuova segreteria post-Enrico Letta, era stato il fondatore del partito Walter Veltroni ad ammonire i dem: “Uno dei problemi della sinistra italiana è che per 11 anni ha governato questo Paese senza aver mai preso i voti. C’è stato il senso di responsabilità di fronte a emergenze, ma anche l’amore delle poltrone e la trasformazione del governo non in un mezzo, ma in un fine”, aveva attaccato.

Parole che non sembrano però scuotere più di tanto in casa Pd: “Dell’intervista di Veltroni ho apprezzato molte cose, ma soprattutto il fatto che dica che il Pd non vada sciolto”, taglia corto l’ex tesoriere Luigi Zanda. Mentre altri ‘fedelissimi’ dei ruoli di governo come Lorenzo Guerini e Dario Franceschini ‘dribblano’ i cronisti, c’è chi come il responsabile economico Antonio Misiani (tra i pochi dem a vincere un collegio, quello di Milano al Senato, ndr) quasi si giustifica: “Il Pd è stato chiamato al governo di fronte al collasso di altre maggioranze, certo abbiamo pagato la responsabilità di governo nei confronti del Paese, su questo dobbiamo discuterne…”.

E pure Matteo Ricci, tra i nomi evocati per la guida del nuovo corso, si accoda: “Grazie a Dio lo abbiamo fatto, perché abbiamo contribuito a salvare il Paese, ora però siamo all’opposizione, dobbiamo farla in modo netto e costruttivo”. Come lo stesso Andrea De Maria, rieletto alla Camera: “Credo che dovremmo rivendicare il nostro impegno e i nostri risultati al governo, ma anche tornare a essere forza di rinnovamento e valorizzare i territori“.

“Il partito si è chiuso, senza collegamenti sociali non ha linfa e allora si chiude in se stesso e anche sul potere“, spiega invece Roberto Morassut. E anche Matteo Orfini usa parole nette: “Penso che abbiamo smesso di pensare al Pd e al suo profilo, discutendo solo di alleanze come strumento per stare al governo. Abbiamo cercato di diventare l’architrave del sistema, ma il Pd non era nato per questo, ma per il suo opposto”. E avverte: “Se dicessimo che abbiamo perso perché non abbiamo fatto il campo largo diremmo una sciocchezza. Abbiamo perso perché abbiamo immaginato come nostra unica proposta politica un’alleanza, ma questa non è un fine, ma uno strumento”.

Tutto mentre si continua invece a parlare di nomi e autocandidature: “Non è questo il momento di parlarne, ma ripeto che darò il mio contributo, nessuno può sottrarsi”, prende tempo Ricci. Mentre Stefano Bonaccini evita le domande e lascia il Nazareno da un’uscita secondaria, Andrea De Maria torna ad auspicare un ticket tra il governatore emiliano e la sua vice, Elly Schlein. Il vice segretario Pd Giuseppe Provenzano si è invece tirato fuori: “Così almeno si parla di politica…”, si limita a dire. Mentre Guerini, il ministro della Difesa uscente a capo della corrente di Base Riformista si nasconde: “Bonaccini segretario? I nomi verranno dopo, intanto scegliamo il percorso“.

Articolo Precedente

Bonelli: “Elezioni? Un suicidio assistito a sinistra, andava fatto campo largo con M5s. Calenda? È un po’ il Marchese del Grillo, non ha rispetto”

next