“Chi trova un nido di tartaruga trova un tesoro”: soprattutto se è come quello della spiaggia di Sant’Andrea a Marciana, all’Isola d’Elba. “Uno straordinario esempio della resilienza di questo animale a sua volta straordinario” lo definisce Letizia Marsili, ricercatrice ed ecologa dell’università di Siena. Le 80 uova della specie caretta caretta (70 gusci aperti, 8 ancora integre e solo 2 rotti con resti di tuorlo), hanno resistito, per giorni, a settembre, tra lettini e ombrelloni, sopravvivendo anche alle mareggiate. Quando sono state scoperte sono state monitorate, anche di notte, dai volontari di Legambiente. Ora il nido, che ha un successo di schiusa alto rispetto agli standard (87,5%), sarà studiato dalle università di Pisa, Firenze e Siena, con la collaborazione di Arpa Toscana. Le 70 tartarughine nate il 18 settembre, tra la meraviglia dei turisti, invece sono diventate uno strumento importante per “sensibilizzare sui problemi del mare e del cambiamento climatico”.
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Non è la prima volta che le tartarughe mediterranee nidificano in Toscana. “Lo avevano già fatto dal 2013 fino al 2021– spiega Marco Zuffi, ricercatore e zoologo dell’università di Siena – Man mano si sono spostate sempre più a nord, da Grosseto e Livorno, fino agli ultimi nidi di Lucca e Massa Carrara”. La operazioni di monitoraggio e ricerche su questo rettile si svolgono in Toscana dal 2006, in accordo con la Regione e il ministero della Transizione Ecologica. Da alcuni anni quindi ogni estate i volontari di Legambiente pattugliano 61 spiagge dell’Elba, cercando “delle impronte simili a quelle di un cingolato, con una traccia liscia al centro, lasciata dal guscio – spiega Isa Tonsi, responsabile del progetto per il ramo Arcipelago Toscano dell’associazione ambientalista – Sono facili da trovare. Le tartarughe adulte pesano fino a 160 chili e spesso si vedono le curve che fanno per trovare il luogo ideale dove deporre le loro uova”.
Molte insenature dell’isola però non sono facilmente raggiungibili e alcuni luoghi, come anche Sant’Andrea, sono cosí antropizzati che, fino a poche settimane fa, sarebbe stato impossibile pensare vi si potesse trovare un nido. “Ci ha segnalato le uova un ragazzo che lavora in un ristorante lì vicino e ha assistito allo spettacolo – spiega Tonsi – Quindi abbiamo messo tutto in sicurezza e siamo rimasti a sorvegliarle per otto giorni e otto notti, finché le tartarughine non sono emerse dalla sabbia”. Nonostante fosse a soli 7 metri dal mare (la distanza ottimale sarebbe di 14), in una località molto frequentata dai turisti, “il nido è stato protetto da un lettino e ha avuto la fortuna di trovarsi su una spiaggia non pulita con mezzi meccanici”.
Dopo l’apertura del nido, “abbiamo trovato un esemplare non completamente formato che stava uscendo dall’uovo – spiega Zuffi dell’università di Siena – Ora il piccolo è stati portato al centro di recupero dell’acquario di Livorno e, anche lui, se la sta cavando. Fra pochi giorni sarà liberato in mare”. Altre 8 uova invece non sono state fecondate e saranno oggetto degli studi dei ricercatori. “Ci danno informazioni aggiuntive importantissime su questa specie preistorica, ma quasi sconosciuta – spiega ancora Marsili – Poi pubblicheremo un report multidisciplinare sulle infezioni patologiche, le condizioni biologiche, ma anche quelle tossicologiche“, causate dall’inquinamento del mare.
“La tartaruga è una specie carismatica. Tante persone si emozionano davanti ai nidi e noi possiamo approfittarne per fare formazione – aggiunge la ricercatrice – Questo animale può avere un ruolo fondamentale per sensibilizzare sulla salute del mare: su quanto è importante la raccolta differenziata, sulla pesca sostenibile anche per squali e altri pesci, sul non disturbare i nidi, ma anche alcune specie vegetali che si trovano tra le dune o i nidi del fratino, un uccellino così piccolo che si fa fatica a vederlo”.
Grazie agli innumerevoli progetti di tutela che hanno coinvolto i turisti, la popolazione della caretta caretta, considerata a rischio nel 1996 nel Mediterraneo, dal 2016 invece è fuori pericolo. Anzi è in aumento. L’aumento delle temperature delle acque, dovuto al riscaldamento globale, potrebbe però mettere nuovamente in difficoltà questo rettile. “Gli habitat stanno diventando sempre di meno” dice Marsili. Dunque tutelare le uova dal rumore, dall’esposizione luminosa e dalla rottura dei gusci, calpestati dai turisti ignari, è fondamentale. “Noi umani possiamo cercare di non interferire: non scavare la sabbia con l’ombrellone, oppure lasciare arrivare gli animali, una volta nati, al mare – spiega Zuffi – Tra 20 o 30 anni, quando le femmine nate in questi giorni saranno mature sessualmente, potremmo avere ancora più informazioni, perché torneranno a deporre qui o cercheranno una spiaggia simile”.