Ospitato nella residenza di James Murdoch, uno dei figli del magnate dei media, l'inquilino della Casa Bianca ha poi aggiunto che tutta questa situazione "è colpa di una persona che io conosco abbastanza bene, il suo nome è Vladimir Putin. Ci ho passato un po' di tempo assieme"
Joe Biden non usa toni rassicuranti per descrivere l’attuale escalation in corso tra Russia e blocco filo-Ucraina. Nel corso di un evento elettorale a New York, prendendo la parola il presidente americano ha gelato i presenti spiegando che “per la prima volta dai tempi della crisi dei missili a Cuba siamo di fronte alla minaccia di un Armageddon nucleare“. Ospitato nella residenza di James Murdoch, uno dei figli del magnate dei media, l’inquilino della Casa Bianca ha poi aggiunto che tutta questa situazione “è colpa di una persona che io conosco abbastanza bene, il suo nome è Vladimir Putin. Ci ho passato un po’ di tempo assieme”. Ma poi apre ai colloqui: “Dobbiamo capire quale può essere una via d’uscita per lui“.
Chi sottovaluta le minacce del Cremlino sull’uso di un arma nucleare tattica, spiega Biden, commette un grave errore di valutazione che potrebbe portare a uno scontro atomico irreversibile: “Putin non scherza quando parla del possibile uso di armi nucleari, chimiche o biologiche perché il suo esercito è in difficoltà”. Il timore di diversi analisti è proprio questo: il capo del Cremlino, messo alle strette, con una guerra che doveva sancire il suo trionfo e rischia invece di trasformarsi in una disfatta, potrebbe optare per un gesto estremo con lo scopo di shockare la controparte ucraina e frenarne l’avanzata della controffensiva verso est, tentando così di salvare la faccia in patria.
È proprio questo l’interrogativo al quale la Casa Bianca non riesce, stando alle parole del presidente, a dare una risposta: “Quale può essere la via d’uscita per Putin? Come la troverà? Come si ritroverà dopo aver perso la faccia e il potere?”. Via d’uscita che, per la verità, il capo del Cremlino aveva offerto nei giorni scorsi dichiarandosi aperto a sedere al tavolo delle trattative con Kiev dopo l’annessione illegale e unilaterale delle quattro aree che hanno votato i referendum ‘farsa’. Ma poche ore dopo era arrivata la risposta dell’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha firmato un decreto presidenziale con il quale si vieta per legge qualsiasi trattativa con Vladimir Putin: “Non discuteremo di pace fino a quando lui sarà presidente della Russia”, ha dichiarato.
Il segretario di Stato, Antony Blinken, sostiene comunque che da parte degli Usa la porta del dialogo rimane sempre aperta e che sono disposti a cercare una “soluzione diplomatica” per porre fine al conflitto in Ucraina, ma solo a patto che ci sia una “volontà seria” da parte del presidente russo. “Quando la Russia dimostrerà di voler seriamente intraprendere questo percorso, noi ci saremo. Ma, al momento, i segnali vanno in un’altra direzione“, ha detto.
La tiepida apertura dell’amministrazione deve però fare i conti, appunto, con la linea della fermezza tenuta dal governo ucraino e supportata anche dall’Unione europea. Per Zelensky, galvanizzato dai successi ottenuti nelle ultime settimane sul campo di battaglia, dovuti soprattutto al massiccio invio di armamenti da parte del blocco occidentale, non esiste altra soluzione al conflitto se non quella militare, con l’obiettivo di continuare a recuperare terreno fino a riprendersi, dicono i vertici di Kiev, anche la Crimea. Una débâcle che però potrebbe spingere Putin a utilizzare l’arma nucleare tattica in Ucraina. Se uno scenario del genere dovesse concretizzarsi, stravolgerebbe il corso del conflitto con conseguenze al momento non prevedibili. Nonostante questo, da Bruxelles la linea rimane quella del sostegno e dell’invio di armi incondizionato a Kiev. Giovedì il Parlamento europeo ha firmato una risoluzione nella quale, tra le altre cose, si invitano gli Stati membri a portare avanti un “massiccio invio di armamenti” all’esercito di Zelensky, mentre in giornata sia la presidente del parlamento Ue, Roberta Metsola, e l’Alto rappresentante per la Politica estera Ue, Josep Borrell, sono tornati a spingere in quella direzione.