Una delle ideologie economiche più pericolose che troviamo ampiamente presente nel dibattito pubblico è l’ideologia no tax, per usare un’espressione sintetica. Si tratta dell’idea, ripetuta fino all’ossessione, che le tasse siano sempre e comunque un male per l’economia, una specie di gramigna da estirpare. La destra fa un uso spregiudicato di questa ideologia, peraltro non nuova. Ogni volta che un suo esponente viene intervistato, la prima frase è sempre rivolta a promettere una riduzione delle tasse su vasta scala, prima per le imprese e poi, in secondo luogo, per le famiglie.

È proprio attingendo a questo liberismo intriso di fanatismo che la nuova premier inglese Liz Truss ha annunciato solennemente, e piuttosto baldanzosamente, che il suo piano per rimettere in piedi l’economia britannica, flagellata dall’inflazione e che ancora deve riprendersi dalla Brexit, sarebbe stato imperniato sulla riduzione sostanziale (dal 45% al 41%) dell’aliquota fiscale per i contribuenti più benestanti, coloro che hanno un reddito superiore alle 150mila sterline. In Italia, come è noto, la riduzione delle tasse via aliquota unica sull’Irpef, la cosiddetta flat tax, è stato uno dei cavalli di battaglia elettorali del centrodestra.

Quindi il movimento conservatore a livello internazionale è in piena sintonia. Il nemico numero uno dell’economia sembra essere uno solo: le tasse. Qual è stata la reazione dei mercati finanziari a questa ventata di liberismo fiscale? Contrariamente a quanto si aspettavano i conservatori inglesi, questa iniziativa fiscale è stata sonoramente bocciata dalla realtà. Piuttosto paradossalmente, ma non tanto per chi non ha i paraocchi della teoria economica mainstream, i mercati hanno sconfessato il liberismo della nuova Thatcher. La reazione contraria è stata istantanea, anche perché i mercati di cui si parla non sono i colorati mercati di quartiere, ma quelli finanziari che si muovono con impressionante velocità.

La catena causale sinteticamente è stata la seguente. La riduzione fiscale provocherà un ulteriore aumento del già gigantesco debito britannico. Ciò porterà ad un aumento del tasso di interesse, con una conseguente diminuzione del valore dei titoli in portafoglio. Da qui, l’ondata di vendite per evitare le perdite in conto capitale che ha messo in ginocchio anche la sterlina. Criticata anche dalla Confindustria britannica, la premier ha dovuto fare marcia indietro, almeno su questo punto. Per quale ragione i mercati, e cioè il capitalismo finanziario, non ha gradito la riduzione delle tasse, che invece è uno dei suoi temi più cari?

Non occorre andare molto lontano per trovare una risposta. La ragione fondamentale è che la ventilata riduzione delle tasse non era per tutti, con un conseguente e probabile aumento della spesa. Si trattava piuttosto di una riduzione fiscale di classe, cioè rivolta essenzialmente alle fasce più ricche della popolazione, secondo una visione pseudo meritocratica più volte smentita. Il capitalismo in una fase di crisi acuta come quella attuale non vuole essere rilanciato premiando fiscalmente i ricchi e i mercati hanno dato il loro verdetto molto chiaro. Questo episodio contiene una piccola lezione anche per l’Italia.

Finalmente Confindustria si è espressa sulle future politiche economiche del nuovo governo, bocciando apertamente la flat tax. Anche gli imprenditori italiani sono contrari ad una politica economica che riduca le tasse alle fasce più ricche della società. È stato ampiamente dimostrato, anche da Confindustria, che la flat tax della destra non darà alcun beneficio a coloro che hanno un reddito inferiore ai 35mila euro, e quindi all’80% dei contribuenti italiani. A beneficiare un pochino saranno i redditi fino a 60mila euro, ma i trionfatori del bonus fiscale della destra saranno coloro che guadagnano oltre i 75mila euro.

Naturalmente questa riduzione porterà ad un ulteriore aumento del debito pubblico o ad un taglio dei servizi, che invece la destra dice di voler potenziare. Il partito no tax non piace oggi ai mercati. Non c’è bisogno di aumentare i risparmi dei ricchi riducendo le loro tasse, ma come sosteneva Keynes c’è bisogno di sostenere la spesa di tutti, sia delle imprese gravate da extra oneri sia dalle famiglie che improvvisamente devono fare i conti con l’inflazione. Questo richiede delle vere politiche di redistribuzione delle ricchezze e dei redditi, e quindi un uso intelligente della leva fiscale. Il liberismo ideologico, mai come adesso, si è dimostrato errato nei presupposti e catastrofico nella sua applicazione.

I conservatori inglesi stanno imparando la lezione a loro spese. Speriamo che anche la destra italiana sia all’altezza del compito che ha di fronte, dopo l’ubriacatura ideologica della campagna elettorale. I mercati internazionali hanno affossato il governo di centrodestra e le sue politiche fiscali già nel novembre del 2011, quanto lo spread nei confronti dei titoli tedeschi salì a 574 punti mandando la finanza pubblica in default. Per questa ragione Berlusconi fu costretto a passare il testimone a Mario Monti, con quello che ne è conseguito. Forse è per evitare che tutto ciò si ripeta che la stampa vocifera di contatti tra chi ci governerà e l’ex presidente del consiglio Mario Draghi, la nostra polizza di assicurazione verso la finanza internazionale, sempre pronta a fare i suoi affari incurante dei destini degli Stati.

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