Il crollo di un controsoffitto negli ambulatori di Proctologia e Stomizzati delle Molinette di Torino, per fortuna avvenuto nella tarda serata di una domenica tranquilla, rappresenta meglio di tante parole lo stato della sanità piemontese, e ancora di più dell’inconcludenza colposa di una politica che da inutile è già diventata tossica, cioè capace solo di far del danno al cittadino “paziente”. Non è purtroppo solo il crollo di un controsoffitto a dirlo, ma tanti, troppi ritardi, cambiamenti di rotta incomprensibili, scandali e scandaletti che travagliano la sanità piemontese e che gettano una luce sinistra su un centrodestra di governo che dice e smentisce, forse sperando di arrivare alla sua scadenza naturale nel 2024 senza aver fatto davvero niente.
Il crollo è avvenuto in uno degli ospedali strutturalmente più vecchi d’Italia che, però, è anche una delle punte dell’eccellenza sanitaria nazionale. Della necessità di un nuovo ospedale, la politica regionale ha cominciato a parlare nel 1999, avviando un’iter che, quattro anni dopo, diede origine alla proposta di realizzazione del Parco della Salute, della Ricerca e dell’Innovazione (PSRI), in cui sarebbero confluite le attività – comprese quelle di ricerca e formazione universitaria – attualmente localizzate nell’Ospedale Molinette e negli altri che compongono l’area ospedali di Torino. Dare conto dei dibattiti e delle campagne elettorali giocate da allora sullo sganciamento di un ospedale o dell’altro dal piano, sul numero di posti e sulla relativa distribuzione richiederebbe migliaia di pagine.
Serve forse ricordare che nel periodo 2000-2022 il Piemonte è stato governato per 13 anni dal centrodestra e per 10 dal centrosinistra, un perfetto esempio di alternanza che, almeno nel caso della sanità, ha prodotto nel 2019 un bando di gara per la realizzazione del lotto principale, quello destinato a ospitare i servizi ospedalieri. Base d’asta 420.811.042 € per circa mille posti letto. Si trattava di una gara per la ricerca di un partner privato che realizzasse l’opera e la gestisse per un congruo numero di anni in cambio di un canone annuale. La scelta di affidarsi a un privato derivava, sosteneva la Regione Piemonte nella persona del suo presidente Chiamparino e del suo assessore Saitta, dalla mancanza di fondi propri, ancora più accentuata dall’essere (allora) nel piano di rientro per sanare il deficit accumulato. Di qui la scelta di “privatizzare” la costruzione e la gestione del nuovo ospedale.
La storia delle partecipazioni, dei ritiri e delle recriminazioni intorno alla gara l’abbiamo già raccontata, adesso è arrivata a un punto morto. Al termine della seconda fase della gara, i concorrenti rimasti hanno presentato i Progetti di Fattibilità Tecnica ed Economica. Ora la procedura prevede che i concorrenti presentino l’offerta economica finale, ma gli stessi hanno posto come condizione l’aggiornamento dei termini economici e finanziari perché i costi stimati ben prima del nel 2018 non sono più adeguati. L’Azienda Sanitaria Ospedaliera che ha bandito la gara già versa in condizioni economiche critiche, il suo debito storico sfiora il miliardo di euro, dunque anche volendo non può fare fronte all’aumento dei costi (si stima tra il 20 e il 30% in più): dovrebbe intervenire la Regione Piemonte. Ebbene, contrariamente a quanto è appena avvenuto per gli ospedali di Novara (+99 milioni) e Cuneo (+100 milioni), la Giunta regionale non interviene, lasciando il cerino in mano all’ASO.
L’unica possibilità che ha l’ASO di proseguire con la gara è chiedere ai concorrenti che presentino nuovi Progetti di Fattibilità Tecnica ed Economica abbassando la qualità del prodotto/ospedale nella misura utile a recuperare l’aumento e/o scaricando tutto o parte degli aumenti sui canoni annuali della concessione. Risultato possibile: manufatti peggiori, servizi ospedalieri peggiori e aumento del canone annuo di concessione, ovvero dell’indebitamento della Sanità piemontese da scaricare sui cittadini. A Trento una vicenda analoga proprio in questi giorni ha prodotto la (saggia) decisione di annullare la gara in corso da 10 anni per la costruzione di un ospedale da un miliardo di euro e ripartire da zero, individuando in questa strada l’unica possibilità che finalmente si cominci a realizzare l’opera. Bisognerebbe farlo anche a Torino, visto che la Regione adesso i soldi ce li ha e potrebbe impegnarli.
L’assessore cuneese alla Sanità, col portafoglio dei fondi per gli ospedali gonfio di soldi non spesi, non alza un dito per Torino, ma aumenta il finanziamento per la Città della Salute di Novara, alle prese con problemi analoghi, perfino più incredibili. Torino e i suoi ospedali sono oggi abbandonati a loro stessi, dopo oltre vent’anni di parole, studi e consulenze, convegni… niente di fatto. L’ospedale si allontana e con lui colano a picco non solo la sanità pubblica piemontese, ma anche la ricerca e l’università. Si direbbe che lavorino tutti per la privatizzazione della salute a favore di quella della Lombardia.
Dato che ogni vera tragedia (e quella della sanità piemontese lo è indiscutibilmente) contiene anche elementi di farsa e di ridicolo, ecco che proprio il 5 ottobre le cronache locali raccontano della bufera giudiziaria che si è abbattuta su un potentissimo direttore generale della sanità piemontese. Si tratta di Flavio Boraso: secondo la Procura di Torino, avrebbe contribuito a truccare il bando di concorso per la nomina a primario di Radiologia della sua compagna. Soprattutto, però, è accusato di aver favorito appalti per 57 milioni di euro a una società che vende prodotti elettromedicali, la Althea Spa, amministratore Antonio Marino, prima presidente poi vice di Confindustria di Torino per le aziende del settore.
Questa storia ve l’ho raccontata tre anni fa, con seguito di querela da parte degli interessati conclusa con l’archiviazione. Piace pensare che quel vecchio post sia servito, buona ragione per continuare ad occuparmi di questioni difficili da raccontare in poche battute e neanche tanto avvincenti sul piano narrativo. Non si può sempre girare la faccia dall’altra parte e piacerebbe che nei palazzi della politica ci fossero meno persone col torcicollo cronico.