La morte della 22enne ha fatto deflagrare proteste in tutto il Paese. La famiglia ha dichiarato che non soffriva di nessuna patologia ma i medici iraniani sostengono che la sua malattia abbia determinato "un disturbo del ritmo cardiaco e un calo della pressione sanguigna" che l'ha portata al decesso
Mahsa Amini, la 22enne curda morta il 16 settembre dopo essere stata fermata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto, non è deceduta per le percosse ma a causa di una malattia. È quanto emerge dal rapporto medico seguito all’autopsia effettuata a Teheran sul corpo della ragazza. Secondo l’Organizzazione di medici legali iraniani, la sua morte non è stata provocata da colpi alla testa e agli organi vitali”, ma sarebbe invece legata a “un intervento chirurgico per un tumore al cervello subito all’età di 8 anni”, si legge nel rapporto pubblicato dalla tv di Stato. La giovane è morta in ospedale a Teheran, dopo essere finita in coma mentre si trovava in custodia della polizia religiosa. Al contrario di quanto sostenuto dai medici, la famiglia ha sempre dichiarato che la ragazza non soffriva di nessuna patologia. Il sito Iran International aveva inoltre pubblicato alcune immagini relative – si legge sul sito – alla tac della ragazza, dalla quale risulta un importante trauma cranico e una emorragia toracica. E alcuni testimoni hanno riferito che Mahsa è stata picchiata all’interno della camionetta che la trasportava in commissariato.
L’autopsia – Nella nota si mette in luce come Masha avesse un “disturbo importante” dell’asse ipotalamo-ipofisario per il quale era stata trattata con idrocortisone, levotiroxina e desmopressina. Secondo quanto riferito la ragazza avrebbe “perso improvvisamente conoscenza” e successivamente sarebbe “caduta a terra” perché la patologia di cui soffriva le ha causato “un disturbo del ritmo cardiaco e un calo della pressione sanguigna”. Secondo i medici il personale di emergenza avrebbe tentato di salvarle la vita ma “il supporto respiratorio non ha funzionato” e Amini “nonostante gli sforzi e e il trasferimento in ospedale” è deceduta per “insufficienza multiorgano causata da ipossia cerebrale”. In nessun caso – secondo l’autopsia – la morte può essere imputabile a “colpi alla testa o ad altri organi vitali”.
Le violenze negate – La magistratura iraniana ieri ha negato anche che la morte della 16enne Sarina Ismailzadeh: Amnesty International e altre organizzazioni accusano la polizia di averle provocato la morte con “colpi di manganello alla testa”; secondo quanto dichiarato dal procuratore di Alborz, Hossein Fazli Harikandi, citato da Mizan online, invece, la ragazza si sarebbe “suicidata”. Sarina, afferma il magistrato, si sarebbe lanciata dalla finestra di un edificio non lontano dalla casa della nonna, situata nel quartiere Azimieh, poco prima della mezzanotte del 24 settembre. In un video pubblicato su Mizan, si vede la madre di Sarina Ismailzadeh che afferma che sua figlia “non ha niente a che fare” con le manifestazioni di protesta. La giustizia della Repubblica islamica nei giorni scorsi ha negato anche qualsiasi legame fra la morte di un’altra adolescente, Nika Shakarami, e le proteste.
Le proteste – Dal giorno della morte di Mahsa, ci sono state quotidiane dimostrazioni in varie città del Paese che hanno duramente contestato le autorità iraniane. Oltre a slogan contro il governo e la Guida Suprema Ali Khamenei, nei video delle proteste pubblicati dagli stessi manifestanti sui social media, e diffusi da media iraniani con sede all’estero, si vedono molte donne togliersi o bruciare il velo, obbligatorio in pubblico per legge a partire dalla Rivoluzione iraniana dell’ayatollah Khomeini del 1979. I video mostrano anche duri interventi da parte delle forze dell’ordine sui manifestanti. Decine le vittime, migliaia le persone arrestate.