Il 7 ottobre 2021 erano stati condannati dalla Cassazione. Dopo la sentenza avevano chiesto la messa in prova ai servizi sociali. E' l'ultima tappa di un lungo e complicato percorso giudiziario
Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi si sono costituiti al carcere di Arezzo. Il 7 ottobre 2021 erano stati condannati dalla Cassazione alla pena di 3 anni per la tentata violenza sessuale alla studentessa genovese Martina Rossi, precipitata dal sesto piano di un hotel a Palma di Maiorca proprio per fuggire alla violenza. Albertoni e Vanneschi dopo la condanna della Cassazione avevano chiesto la messa in prova ai servizi sociali, richiesta trattata dal tribunale di sorveglianza di Firenze.
Il fatto che la sentenza non fosse stata ancora eseguita, era stato molto contestato dal padre di Martina, Bruno Rossi, che il marzo scorso ebbe modo di lamentarsi pubblicamente: “A sei mesi dalla sentenza della Cassazione ancora la pena non è andata in esecuzione – denunciò – perché la richiesta di affidamento in prova giace in un cassetto, i tempi sono troppo lenti”. E gli stessi genitori di Martina circa un mese fa intervennero col loro avvocato Luca Fanfani segnalando l’inopportunità di assegnare ad Albertoni una benemerenza sportiva del Coni per precedenti meriti sportivi nel motocross. Il Coni fece verifiche e revocò il riconoscimento. La costituzione in carcere di Albertoni e Vanneschi segna il punto finale di un lungo e complicato percorso giudiziario.
Martina Rossi morì a 20 anni, il 3 agosto 2011, precipitando dalla terrazza di una camera d’albergo, a Palma di Maiorca (Spagna), volendo sfuggire ai due che alloggiavano nella stessa struttura. Era in vacanza nella località turistica con delle amiche. I due imputati, residenti a Castiglion Fibocchi (Arezzo) erano in vacanza nello stesso albergo. La Cassazione condannò Albertoni e Vanneschi spiegando in sentenza che “l’unica verità processuale che risulta trovare conferma nella valutazione dei molteplici indizi esaminati risulta essere quella del tentativo di violenza sessuale“. Le loro difese invece hanno sempre sostenuto che Martina si sia suicidata, richiamandosi in particolare alla testimonianza di una cameriera spagnola, unica testimone oculare, che riferì di aver visto la ragazza cadere dopo aver “preso lo slancio”. Un racconto non seguito dai giudici di merito e neppure dalla Cassazione ritenendo “ineccepibile” la valutazione dei giudici laddove mette in discussione la percezione della teste a causa del suo punto di osservazione, laterale e non di fronte al balcone da cui Martina precipitò. Le modalità della caduta, definita “a candela” dai consulenti, “collidono secondo la corte fiorentina” con quanto riferito dalla cameriera. Uno snodo processuale importante accanto alle ricostruzioni che hanno evidenziato come la ragazza cadde nel vuoto proprio mentre cercava di scappare dall’aggressione da parte dei due aretini incontrati nell’hotel.