Al netto delle polemiche politiche, che gli investimenti finanziati con le risorse del Pnrr siano in ritardo è un fatto. Riconosciuto dal governo uscente nella Nota di aggiornamento al Def approvata la settimana scorsa. A pesare, oltre alle croniche carenze della pubblica amministrazione rimaste in gran parte irrisolte, è stata l’impennata dei costi delle opere causa rincari di materie prime ed energia. Ma che cosa si sta facendo per rimediare e cercare di recuperare terreno? Non abbastanza secondo i costruttori riuniti nell’Ance, secondo cui sta diventando via via più improbabile che l’Italia riesca a concludere le opere previste entro il 2026, l’anno in cui si concluderà il Next generation Eu. “Sarà molto sfidante: già prima dell’esplosione dei costi avevamo stimato che se i tempi di realizzazione delle opere pubbliche pubbliche fossero rimasti quelli storici l’Italia sarebbe riuscita a spendere solo il 48% delle risorse europee“, ricorda la presidente dell’Ance Federica Brancaccio. “A preoccuparci in questa fase sono soprattutto i 23mila cantieri aperti, che non riguardano solo le opere del Pnrr, che rischiano il fermo: le misure di adeguamento dei prezzari scadono il 31 dicembre e senza nuove compensazioni da quel momento in poi si tornerebbe a quelli vecchi”. Un’altra grana da risolvere per il prossimo esecutivo.
Un passo indietro. A maggio, quando il tasso di inflazione ha raggiunto il 6,8% e dopo l’allarme del ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e una serie di gare d’appalto andate deserte perché la base d’asta era giudicata troppo bassa, il governo Draghi è corso ai ripari. Nel decreto Aiuti è stato inserito un complesso meccanismo di adeguamento delle somme stanziate per i lavori in corso (per opere Pnrr e non), a cui sono stati destinati 3 miliardi, e per quelli che attendevano la scrittura o riscrittura dei bandi, che hanno ricevuto in dote 7,5 miliardi portati a 8,8 con il decreto Aiuti bis. In questo secondo caso si parla solo di opere del Piano e del Fondo complementare al Pnrr, delle infrastrutture commissariate e di quelle da realizzare per le Olimpiadi Milano-Cortina.
Per i cantieri in corso nel 2022 le Regioni hanno avuto mandato di aggiornare entro fine luglio i prezzari regionali. Alle stazioni appaltanti, una volta calcolata la differenza tra le nuove valutazioni e i prezzi previsti nel bando originario, spetta il compito di versare agli appaltatori fino al 90% della cifra mancante usando risorse proprie o chiedendo di accedere al fondo nazionale. Già qui i problemi non mancano: i rimborsi vengono versati in due tranche e i primi soldi arriveranno solo a dicembre, mentre per le richieste in arrivo a gennaio bisognerà aspettare il prossimo maggio. Con la possibilità che nel frattempo emergano problemi di liquidità. Non solo: la cifra stanziata potrebbe non bastare per coprire il 90% dei maggiori costi e in quel caso la “franchigia” a carico delle aziende salirà. Ma a preoccupare gli addetti ai lavori è soprattutto il fatto che, a meno di proroghe che spettano a questo punto al prossimo governo, questo intervento eccezionale non sarà replicato nel 2023. Da gennaio torneranno ad essere applicati i prezzari adottati prima dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’esplosione delle quotazioni del gas. Un’era geologica fa. Di qui i timori sui 23mila cantieri complessivi già aperti nel Paese, tra progetti del Recovery plan e “normali” lavori pubblici.
Se questo scoglio sarà superato, la sfida successiva sarà quella di riuscire ad aggiudicare i tanti bandi grandi (vedi la nuova diga foranea di Genova) e piccoli del Pnrr che si sono arenati nei mesi scorsi proprio perché le aziende si sono ben guardate dal partecipare a condizioni economiche non in linea con il mercato. Su questo fronte ora bisogna correre a perdifiato, perché il dpcm che disciplina le modalità di accesso al fondo creato a maggio è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo il 12 settembre. Entro metà ottobre ogni ministero responsabile di una linea di intervento deve raccogliere le richieste che arrivano dalle varie stazioni appaltanti e quantificare le necessità da presentare al Tesoro. Solo per alcuni lavori gestiti dai Comuni è stato previsto un meccanismo automatico di aumento dal 10 al 25%. Entro metà novembre la Ragioneria generale dello Stato dovrà scrivere la graduatoria dando priorità agli interventi che devono partire prima. A quel punto partirà l’indizione delle gare o l’invio delle lettere di invito in caso di procedura negoziata.
Facile, insomma, che le aggiudicazioni arrivino a fine anno se va bene. Le incognite sono diverse. Innanzitutto “la cifra stanziata per coprire gli extra costi era adeguata a maggio, quando è stato varato il decreto Aiuti, ma da allora ci sono stati ulteriori rincari dell’energia”, ricorda Brancaccio. “Il rischio che la richiesta sia superiore agli 8,8 miliardi a disposizione c’è. E intanto il rinvio delle gare ha già fatto slittare in avanti l’avvio dei lavori”. Sulle chance di successo nella messa a terra dei fondi pesa poi la ridotta capacità della macchina amministrativa italiana, che nonostante la prospettiva dell’arrivo di 209 miliardi europei in pochi anni è stata rafforzata in maniera del tutto insufficiente e solo con contratti a termine. Secondo una ricognizione dell’Ance fatta prima dell’estate, l’80% dei progetti Pnrr era fermo allo stadio della valutazione di fattibilità. In agosto la Corte dei Conti, nella periodica relazione sull’attuazione del Pnrr, ha sottolineato come dalle interlocuzioni con le amministrazioni sia emerso “il mancato raccordo fra afflusso di nuove risorse provenienti dall’Europa e miglioramento delle capacità amministrative e di spesa”. Un nodo che andava sciolto prima che iniziassero ad arrivare le risorse.