Consumi in calo e investimenti in frenata. E’ questo il quadro previsionale per il 2023 elaborato dal Centro studi di Confindustria nel Rapporto d’autunno. Aumento dei prezzi, riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e rincari energetici faranno sì che già nel terzo trimestre il prodotto interno lordo, secondo Viale dell’Astronomia, registri un rallentamento, per poi scendere tra il quarto trimestre del 2022 (-0,6%) e il primo del 2023 (-0,3%): con due trimestri consecutivi di discesa il Paese sarà dunque in recessione. Per l’intero 2023 la previsione è di una stagnazione, con il pil fermo. L’introduzione di un price cap sul gas di 100 euro/Megawattora da questo mese fino a dicembre 2023 – che sembra però assai improbabile – renderebbe possibile una maggior crescita annua del pil dello 0,1% nel 2022 e dell’1,4% nel 2023, pari al +1,6% cumulato nel biennio, con un effetto favorevole sull’occupazione che potrebbe salire nel biennio dell’1,3% con un impatto positivo di 308mila occupati in più. “Siamo alle porte dell’insediamento di un nuovo governo che dovrà fare i conti con una vera emergenza nazionale. Non riguarda più solo imprese e industria, riguarda tutti”, ha commentato la dg di Confindustria, Francesca Mariotti. “Interventi tampone non saranno sufficienti e neanche più tanto possibili: abbiamo una incertezza di tempi: quanto durerà? Certamente non poco. Una emorragia di risorse pubbliche non possiamo permettercela”.
Se nel 2022 le famiglie sono tornate a spendere ed i consumi, a traino del Pil, chiudono l’anno con un +3,1% grazie al superamento delle misure anti-Covid e quindi all’aumento della mobilità e alla ripartenza negli acquisti fuori casa, il 2023 registrerà una fortissima battuta d’arresto: -0,1%, il 3% sotto al livello toccato nel 2019. A far fronte agli aumenti di costo legati all’inflazione e a finanziare le spese in aumento non servirà, spiega il Csc, neppure l’extra risparmio accumulato negli ultimi due anni “in parte perché non può essere tutto immediatamente speso, in parte perché è eroso dall’inflazione, in parte perché concentrato tra le famiglie più abbienti”. Anche gli investimenti delle imprese sono attesi “perdere slancio”. Gli elevati prezzi dell’energia, e quindi i margini ristretti, l’incertezza, le tensioni sul commercio mondiale, sono i principali fattori frenanti. Negativi , prosegue Confindustria, anche i rialzi dei tassi, che avranno un impatto sul costo del credito.
La fiducia delle imprese – osserva il Csc – è “tornata a scendere”, arrivando a 108,2 nel terzo trimestre da 110,7 nel secondo. Anche le indagini di luglio condotte da Banca d’Italia prefigurano per il semestre successivo aspettative sulla spesa per investimenti positive, ma visibilmente ridimensionate rispetto a quanto indicato nelle precedenti rilevazioni. A soffrire maggiormente è la produzione nelle costruzioni che, in calo da aprile, “ha registrato una diminuzione significativa a luglio (-3%), con un acquisito per il 3° trimestre di -4,6%”. Sempre secondo le indagini di via Nazionale, in estate sono drasticamente diminuite le imprese del settore che prevedono un miglioramento della domanda per il trimestre successivo, soprattutto in merito all’operatività dei cantieri già avviati, mentre aumenta la quota di imprese edili che prevede un peggioramento delle condizioni economiche. Anche le attese su ordini e piani di costruzione sono diminuite (da 12,4 del primo trimestre a 3,1 nel terzo).
I dubbi sugli investimenti del Pnrr – Sull’andamento degli investimenti pesano anche i dubbi sulla fattibilità di quelli previsti dal Pnrr nei tempi concordati. In un focus intitolato “Pnrr: riuscirà ad essere attuato nei tempi previsti?”, il Csc ricorda che “I rincari, soprattutto dell’energia, possono non rendere conveniente alle imprese partecipare alle gare di appalto, lasciando di fatto alcuni progetti irrealizzabili: sarebbe quindi auspicabile riadeguare i prezzi delle gare con finanziamenti reperiti o a livello nazionale (a partire dalla prossima Legge di Bilancio), o a livello europeo (per esempio nell’ambito del RePowerEU4 )”. Non solo: “La carenza di alcuni materiali può rendere concretamente difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. L’associazione dei costruttori edili Ance ha quantificato i maggiori costi per le imprese derivanti da rincari e carenza di materiali in circa il 35% in più rispetto ai prezzi già aggiornati a inizio 2022. La scarsa convenienza economica di alcuni bandi ha sicuramente contribuito a che diverse gare d’appalto andassero deserte (es. alcuni bandi 5G). Si è quindi provveduto a modificare certe condizioni di gara, ma in alcuni casi ciò ha comportato ritardi nell’attuazione. Permane poi il problema strutturale dell’effettiva capacità delle amministrazioni, specie territoriali, di bandire ed eseguire le gare d’appalto successive alla ripartizione dei fondi Pnrr. Il raggiungimento quantitativo di alcuni traguardi potrebbe essere minacciato dalle elevate differenze tra le performance delle PA incaricate di realizzarli”. Positivo però il fatto che “alcuni soggetti attuatori del Piano, per esempio Rfi, hanno scelto di anticipare, con risorse proprie, le maggiori coperture amministrative richieste per fronteggiare i rincari, consentendo così di avviare subito le gare”.
Le sfide sulle riforme – Passando al versante delle riforme, “ci sono 23 condizioni, relative alle riforme, da completare entro la fine del semestre. Una loro revisione è alquanto improbabile perché la situazione congiunturale non è tale da impedirne la realizzazione”, sottolinea il Csc. “Gli iter burocratici parlamentari, di per sé travagliati, sono soggetti a forti pressioni politiche e si tende a procedere con decreti-legge, talvolta rimandando alcune decisioni cruciali. Sono aumentati il rischio di non rispettare le tempistiche concordate e il rischio di introdurre modifiche sostanzialmente inefficaci per alcune riforme. Questa preoccupazione giustifica la scelta del Governo Draghi di accelerare su alcune riforme (es. Legge sulla Concorrenza), anche in virtù della ”clausola di non reversibilità” che non consente di introdurre cambiamenti nel contesto di misure adottate precedentemente, proprio per evitare “annacquamenti” o “abrogazioni”. Tra le sfide centrali ci sono l’adozione dei provvedimenti attuativi per la legge sulla concorrenza, degli atti delegati per le riforme della giustizia civile, penale e del quadro in materia di insolvenza e l’entrata in vigore di un piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso in tutti i settori economici”, conclude il Csc.
Il turismo non ha recuperato i livelli pre Covid – Quanto al comparto turistico, “seppure in netta ripresa, potrebbe non aver ancora recuperato del tutto i livelli del 2019, neanche nel 3° trimestre del 2022”, soprattutto in termini di presenze di turisti dall’estero, “-52% rispetto al 2019”, scrive il Csc, sottolineando che invece “la piena ripresa di questo settore è cruciale per le prospettive di crescita dell’intero sistema economico italiano”. Nel pre-pandemia il turismo aveva infatti un peso rilevante: secondo l’Istat, esso contava circa il 6% in termini di valore aggiunto e il 7% in termini di occupati (circa 1,7 milioni di addetti) con un impatto sul Pil italiano che, secondo stime World Travel and Tourism Council per l’Italia nel 20191 era pari al 10,6%, mentre quello sull’occupazione era del 12,2%.
Conti pubblici appesi all’andamento del pil – Sul fronte dei conti pubblici, “il deficit pubblico in Italia è migliore delle attese (3,5% nel 2023), nonostante l’aumento della spesa per interessi dovuto al rialzo dei tassi e pur incorporando gli effetti sui conti delle ingenti misure adottate dal governo per sostenere famiglie e imprese contro il caro-energia: 54,4 miliardi nel 2022, che hanno senz’altro attutito l’impatto dello shock energetico sull’economia”. Per gli economisti di via dell’Astronomia “un elemento particolarmente positivo dei conti pubblici, emerso quest’anno, è il forte aumento delle entrate fiscali, sulla scia della risalita dell’economia, ma anche della maggiore inflazione: queste risorse hanno consentito di finanziare gli interventi senza generare più deficit di bilancio”. Il gettito fiscale nel 2022 “potrebbe essere superiore rispetto a quanto programmato dal Governo nel Def di aprile di ulteriori 10 miliardi (0,5 punti di PIL), ma il deterioramento dello scenario economico potrebbe ridurre tali entrate. Il debito pubblico è stimato al 145,5% del Pil nel 2022, in riduzione di oltre 4,7 punti, ma nel 2023 è previsto calare di neanche 0,7 punti (al 144,9%), a causa del minor contributo della crescita reale alla sua discesa”.