“Che fine farà la mia azienda?”. È questa la domanda più ricorrente che mi arriva soprattutto dai piccoli imprenditori. Sappiamo tutti quali sono i problemi che affliggono le imprese in questi mesi e ne ho in parte scritto su questo blog: aumento dei costi delle materie prime, rincari dei costi di approvvigionamento energetico, mercati instabili, mancanza di liquidità. E poi, ovviamente, c’è una fortissima rassegnazione. D’accordo, i problemi sono questi. Ma la crisi non può e non deve diventare un alibi. L’ennesimo alibi.
È il momento di dircelo: da oltre trenta anni la piccola e media impresa italiana è incapace di leggere i tempi e i cambiamenti del mercato. Dall’espulsione dell’Italia dallo Sme (1992), alla crisi dei subprime e del debito (2008); dal crollo delle Torri gemelle (2001) fino all’epidemia di coronavirus (2020); dalla crisi dei debiti sovrani (2012) alla carenza energetica dovuta alla guerra in Ucraina (2022), tutti questi eventi vengono identificati come imprevisti ed imprevedibili. Ed in effetti la maggior parte lo sono. Non lo è, invece, la capacità del piccolo imprenditore di identificare una crisi come opportunità di crescita visto che mediamente ogni 5 anni bisogna affrontarne una nuova.
Ed ogni volta assistiamo a centinaia di migliaia di default. Non ho mai sentito un imprenditore dirmi: «Sono fallito perché dopo “quella crisi” non mi sono preparato bene per gestire le successive». Anzi, la crisi era l’alibi. È necessario partire da qui se si vuole davvero trovare una via d’uscita ed evitare di cadere nella retorica vittimistica. Perché anche questa crisi, sebbene con molti sacrifici, sarà superata ma non sarà come riaccendere la luce. Bisogna resistere, certo, anche se sembra impossibile. Ma va trovata la forza per guardare oltre l’ostacolo. E chi ci riuscirà è un imprenditore che ha imparato dalle pregresse esperienze vissute per uscire dalle altre crisi. E che si è evoluto.
Fare impresa in Italia è da sempre molto difficile: una marea di impedimenti burocratici, difficoltà di accesso al credito bancario, giustizia civile complessa e lunga, poca disponibilità di risorse umane qualificate, rigidità del lavoro, tassazione elevata e miope rispetto alle fasi di sviluppo. Essere riusciti a costruire e a tenere in vita le piccole imprese nonostante ciò è uno straordinario risultato, che sta a significare che queste possono davvero superare ogni ostacolo e affrontare la sfida del cambiamento.
Queste ultime crisi hanno solo accelerato un processo di dissoluzione che ha radici più profonde. Dobbiamo anzitutto riconoscere che un certo modello di fare impresa è entrato in crisi ben prima del Covid e della crisi energetica. È da oltre vent’anni che questo modello non funziona più, non garantisce crescita, utili, sviluppo, ma solo una magra sopravvivenza. E oggi anche la stessa sopravvivenza è seriamente minacciata. Proviamo a capire perché. Innanzitutto la maggior parte delle piccole aziende italiane affonda le proprie radici nella grande competenza artigiana.
L’abilità nella realizzazione del prodotto, il saper fare che non teme confronti sono la cifra che contraddistingue tutto un modello imprenditoriale. Sappiamo fare bene il prodotto, ma temi come il controllo sul ritorno del capitale investito, la valutazione dei processi aziendali, la gestione delle risorse umane, il controllo della soddisfazione del cliente sono considerati da sempre con grande distrazione. Manca una visione del mercato, siamo troppo attenti a guardarci allo specchio e dirci quanto siamo bravi. E se le cose non vanno è sempre colpa del mondo esterno.
Il secondo fattore che rappresenta da anni un’estrema debolezza dell’impresa italiana è legato alla guida dell’azienda. Quantità e qualità delle decisioni prese rispondono all’intuito lungimirante di un solo uomo e seguono una logica istintiva. Un uomo che non vuole ammettere che non ha la preparazione per affrontare il mercato. Oggi la gestione aziendale è diventata maggiormente complessa. Nei mercati c’è sempre più competizione che riduce i margini e gli utili.
Per una buona gestione serve organizzazione, efficienza, decisioni tempestive e consapevoli, strategie di marketing mirate, conoscenza del mercato e della concorrenza. Non basta più fare bene il prodotto. Certo, anche in passato questi altri fattori erano importanti, ma oggi sono imprescindibili. La crisi che stiamo attraversando è un punto di non ritorno, l’ultima lezione prima dell’esame finale. La sfida nascosta dietro la cosiddetta “gestione di questa crisi” è di superare l’apatia, l’autocompiacimento e la negazione.