Si può affermare, senza ombra di smentita, che il cardinale Angelo Dell’Acqua ha incarnato l’ecclesiologia del Concilio Ecumenico Vaticano II. È l’uomo che ha portato avanti con dedizione le istanze conciliari nei principali incarichi che ha ricoperto: sostituto della Segreteria di Stato dal 1953 al 1967 e poi cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma dal 1968 fino alla morte avvenuta a Lourdes nel 1972. Bisogna essere grati a monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, per aver sottratto all’oblio la figura del cardinale Dell’Acqua, ricordandolo nel cinquantesimo della sua scomparsa.
Monsignor Sapienza ha voluto far risentire la voce di questo grande porporato del Novecento ridando vita ad alcuni suoi celebri interventi che sono ancora di straordinaria attualità. Il volume curato dal religioso si intitola semplicemente Angelo Dell’Acqua. Cardinale vicario (Edizioni Viverein) e ha proprio lo scopo, come sottolinea monsignor Sapienza nella presentazione, di ricordare, soprattutto al clero romano, “l’esempio e l’insegnamento dell’antico pastore”. “È importante – sottolinea il religioso – avere la capacità di ricordare, ossia di ‘riportare al cuore’, la propria storia. Si tratta della memoria, delle radici, di quel passato che spiega il nostro presente”.
Ecco perché il testo di monsignor Sapienza non vuole soltanto ricordare il cardinale Dell’Acqua, opera questa già largamente meritoria, ma ne vuole attualizzare il magistero alla luce dell’epoca di riforme che la Chiesa cattolica, e in particolare la Curia romana, sta vivendo in una dimensione missionaria e sinodale introdotta con decisione da Papa Francesco. Questo è il valore aggiunto del testo: ricordare per attualizzare, riscoprire gli insegnamenti per viverli alla luce della grande sfida del cattolicesimo contemporaneo, quella dell’indifferenza religiosa.
“La Chiesa – scrive Sapienza – sperimenta il calo molto sensibile delle vocazioni; soffre per gli scandali degli abusi, e l’inadeguatezza di certe strutture. Eccessi di narcisismo, protagonismo, clericalismo avvelenano la testimonianza dei preti. Oggi nella nostra cultura e società il tema della vocazione sacerdotale appare oscurato. Per chi non ha fede il prete è oggi la figura più ‘assurda’ della società. È proprio per questo che merita riportare all’attenzione la figura e l’esempio di un sacerdote che, secondo quelli che l’hanno conosciuto, decise di essere l’uomo di un solo amore; servo di un solo amore; con lo sguardo, il candore e l’anima di un fanciullo. Un cardinale buono, sorridente; un cardinale popolare: un cuore senza inganni, che sapeva amare senza finzioni, che sapeva servire senza interessi personali”.
Monsignor Sapienza ricorda come “in un mondo in cui i cattivi esempi, gli scandali, gli oltraggi all’onestà di pensiero si moltiplicano, Angelo Dell’Acqua ha lasciato un esempio di coerenza cristiana e di autentico stile sacerdotale. Ripeteva: ‘Per me l’anima dell’apostolato è sempre la vita interiore’. Oggi non di parole si ha bisogno, ma di esempio, di concretezza, di esperienze esemplari. Soprattutto i giovani, esigono autenticità; vogliono quasi vedere e toccare il messaggio cristiano realizzato concretamente nella vita chi lo annuncia”.
Il cardinale Dell’Acqua ha dovuto cambiare radicalmente la sua vita, che per anni è stata dedicata al servizio della diplomazia della Santa Sede, quando Montini gli affidò la guida della sua diocesi di Roma. “Inviandolo in Vicariato, – sottolinea Sapienza – Paolo VI che aveva stabilito con lui un rapporto cordiale, lo invita ad essere un vicario per Roma secondo il Concilio, per ‘un nuovo periodo per la vita pastorale di Roma’. E il cardinale accetta, proponendosi di ‘operare in semplicità, con fede e guidato dalla carità’. Amava e si faceva amare. E farà presto l’esperienza che Roma ha bisogno di un governo chiaro, innovatore e forte. Ebbe la grandezza del tenace costruttore”.
Il religioso, infine, ricorda che “il settimanale Oggi così lo descriveva: ‘I suoi occhi sono dolci, celesti; ispirano subito fiducia… La sua amabilità, ben nota a chiunque abbia l’opportunità di conoscerlo, è misurata ma non formale’. Si trattava – conclude Sapienza – di creare un nuovo clima di fiducia tra il clero romano e il Vicariato. E Dell’Acqua intendeva fare il vescovo ed essere un personaggio pubblico, non solo amministrare gli affari diocesani. Il sacerdote era l’anima stessa del diplomatico”.