Prima il Covid, poi la siccità – e dunque un inverno senza neve – e ora l’impennata dei prezzi di gas, elettricità e gasolio. La stagione invernale, per il comparto che ruota intorno al mondo della neve e della montagna, si annuncia così in salita da far temere il peggio. Per dirla in altri termini: la chiusura della catena di alberghi in Salento, per via del caro bollette, potrebbe non essere un caso isolato. Anzi, gli hotel di Alpi e Appennini potrebbero fare la stessa fine. A maggior ragione se è vero quanto hanno dichiarato, in questi giorni, alcuni gestori degli impianti di sci: stop alle seggiovie in settimana. Con la ricaduta, in termini economici, su commercianti, albergatori, ristoranti e maestri di sci. Il primo stop stagionale, ufficiale, è già arrivato: la stazione di Panarotta 2002, sopra le montagne di Levico Terme, in Trentino, non aprirà: “Fare altrimenti sarebbe un salto nel buio e non possiamo fare i kamikaze – ha raccontato il presidente Matteo Anderle a il Dolimiti – è una decisione sofferta, ma tra i costi per le bollette, l’innevamento artificiale e il lavoro tecnico, la situazione per noi è diventata insostenibile”. Panarotta conta 18 chilometri di piste e quattro impianti di risalita. Insieme alla stazione Funivie Lagorai fa parte della Skiarea Valsugana e Lagorai.

PEGGIO DEL COVID – Gli appassionati sanno già che lungo tutto l’arco alpino ci sono stati ritocchi all’insù dei prezzi degli skipass. Fatta eccezione per il Monterosa Ski e per le stazioni del Friuli-Venezia Giulia (che fanno caso a sé, perché beneficiano di partecipazioni pubbliche) tutti gli altri comprensori, a poco a poco, stanno aumentando le tariffe dei biglietti. “Per pareggiare i costi dell’energia – dice Massimo Fossati, presidente di Anef Lombardia – dovremmo alzarli del 30%. Ma è ovvio che a quel punto, con l’inflazione che colpisce tutte le famiglie, le persone non andrebbero più a sciare. È un cane che si morde la coda”. Al momento l’aumento è di circa il 10%. “Ma è frutto di una decisione presa questa estate – rivela Fossati – e non è detto che nei prossimi mesi la percentuale non salga. Ci aspettiamo che i costi complessivi, rispetto al 2019, saranno quintuplicati“. A sentire gestori degli impianti a fune e albergatori, la situazione è pure più grave di quella patita con la pandemia. E infatti c’è chi sta pensando se non convenga tenere le saracinesche abbassate (i titolari di hotel) o addirittura fermare cabinovie e seggiovie durante la settimana: il costo dell’energia, negli scorsi anni, pesava tra l’8% e il 15%, mentre ora ha abbondantemente superato il 30%. “Sono convinto – continua il presidente di Anef Lombardia – che alla fine gli impiantisti terranno aperto. Il motivo? Se si fermano loro, si ferma tutta la montagna. Il turismo invernale ruota intorno ai comprensori sciistici”.

Tuttavia dal Piemonte stanno arrivando indicazioni diverse. Giampiero Orleoni, presidente di Arpiet, l’associazione delle imprese del settore del trasporto a fune a cui aderiscono i principali comprensori della regione, ha fatto sapere all’Ansa che le stazioni potrebbero decidere di “ridurre il numero di impianti aperti, chiudere in alcune giornate feriali o vendere skipass variabili a seconda del costo dell’energia”. Secondo Orleoni si tratta di contromisure per fare fronti ai rincari dell’energia, ma al momento “non è stato deciso nulla, sono solo idee. Aspettiamo fine ottobre”.

LA “TEMPESTA PERFETTA” – Nell’incertezza generale – lo sconto del 30% sugli aumenti delle bollette, deciso dal governo, per ora è in vigore fino a novembre – gli imprenditori stanno tappando i buchi, qui e là, come meglio possono. “Un chilo di burro, l’anno scorso, mi costava 4 euro, ora 12. Il pollo è salito da 2,4 a 10 euro, un sacchetto di pellet da 4 a 13 euro – spiega Gianni Battagliola, presidente di Federalberghi Trentino e titolare di due hotel a Folgarida – ai miei colleghi sto consigliando di fare attenzione alle derrate alimentari, nei prossimi mesi, per cercare di ridurre i costi, di fare un check-up energetico su macchinari e impianti di illuminazione, magari non performanti; in più, consiglio di abbandonare i listini fissi per le camere e di adottare quelli variabili e di ritrattare, dove possibile, gli accordi coi tour operator. Al netto di tutto questo – continua Battagliola – ci troviamo in una ‘tempesta perfetta’. Non possiamo alzare i prezzi all’infinito, altrimenti chi va in vacanza?“.

Il paradosso a cui si sta assistendo, per esempio per gli hotel di montagna, è che con il pellet introvabile (o, se reperibile, a costi esorbitanti) converrebbe ritornare al gasolio (il cui prezzo, comunque, è salito) coi danni all’ambiente che tutti conosciamo. L’altro paradosso è che gli albergatori stanno pensando di mettere alcuni servizi a pagamento. Un esempio su tutti: il centro benessere. “Ma così scontentiamo il 90% della clientela, e non è detto che chi sarà disposto a pagare possa coprire i mancati guadagni delle persone che vi rinunceranno”, dice Battagliola. Che sulla chiusura dei comprensori in settimana è categorico: “Significherebbe, per noi e per l’economia montana, il fallimento assicurato“. Il ragionamento che fanno gli albergatori, al momento, è questo: “C’è chi valuta se aprire col primo di dicembre (giorno che dà inizio, tradizionalmente, alla stagione, ndr), chi sta pensando di rinviare l’apertura e chi di tenere chiuso. In mano, nell’incertezza generale, non abbiamo nulla: ci sono tante persone che si informano, ma pochi quelli che prenotano e che ci garantiscono che verranno”.

LE RICHIESTE AL GOVERNO – Sia dal lato impiantisti sia da quello degli albergatori sale la medesima richiesta all’attuale governo e – ovviamente – al prossimo: fare di più. “Va bene il credito d’imposta per l’energia – continua Battagliola – ma qui abbiamo bisogno di un tetto al prezzo del gas. In più, come è stato fatto dal Conte 2 col Covid, serve una moratoria sui mutui e la cassa integrazione agevolata per i lavoratori. Durante la pandemia un’azienda di medie dimensioni, per quanto riguarda i ristori, ha ottenuto circa il 3-4% del fatturato annuo. Ma con le misure citate poc’anzi, siamo sopravvissuti. Il governo dev’essere più coraggioso”. Ai comprensori sciistici, che dovettero restare chiusi, andò meglio: lo Stato garantì il 49% dei ricavi da biglietteria sulla media degli ultimi tre anni (come fatto in Francia). “Ora però non siamo compresi tra le aziende energivore – spiega Fossati – e ho l’impressione che non ci sarà un intervento ad hoc per gli impianti a fune. L’importante è che vengano prese misure per tutti i cittadini. Serve dare più potere d’acquisto alle famiglie”.

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