La lezione di storia che arriva dall’Iran è che la libertà si conquista da soli. Quando le potenze straniere si ergono a difensori della libertà è sempre per un motivo nascosto, sia questo per egemonia politica o economica. Non esiste più la solidarietà umana, è la foglia di fico prediletta dal potere moderno ed è ora che noi occidentali ce ne rendiamo conto. Sono infatti le donne iraniane la classe più sfruttata, più deumanizzata dal regime che ha innescato la rivolta, e il mondo, anche quello femminile, sta a guardare. Sono le donne egualmente represse in Afghanistan, in Pakistan, che con immenso coraggio mostrano la loro solidarietà. Su Instagram tanti sono i video che le vedono danzare sui tetti con i capelli lunghi sciolti prima di tagliarseli in protesta. E quelle occidentali?
Domandiamoci perché la difesa della libertà del popolo ucraino ha innescato un’escalation che potrebbe portarci al conflitto atomico in Europa mentre poco più di un anno fa abbiamo abbandonato le donne afghane al loro triste destino nelle mani dei talebani senza battere ciglio; perché in più di quarant’anni abbiamo fatto poco o nulla per abbattere un regime dove le donne valgono quando gli animali, merce di scambio per gli uomini.
Siamo tutti vittime del nuovo assetto geopolitico, un sistema di potere che ci deumanizza e che ci porta a confondere il significato dei diritti umani. Alla base c’è la nuova interpretazione delle diseguaglianze, l’accettazione tacita che non siamo tutti uguali. Gli antichi romani parlavano di fato, noi parliamo di soldi. Nei paesi ricchi i diritti delle donne avanzano, in quelli poveri regrediscono. E ci sta bene così. Ma questo è un sistema che a lungo andare destabilizza l’umanità, che ci fa regredire allo stato di natura di Hobbes, in cui chi è forte vince.
Passiamo la nostra vita e guardare i video delle celebrities, degli influencer, a leggere i tweet di Elon Musk, sognando di essere come loro; intanto il mondo sprofonda nel caos. La soluzione del problema non può venire da un sistema malato alla radice, dove si accetta senza battere ciglio di abbandonare l’Afghanistan per poi lanciare una crociata di libertà in Ucraina. La gente muore a causa di questa ambiguità. Se i principi di libertà sono davvero universali, allora sulla bilancia le donne iraniane e quelle afghane devono pesare tanto quanto quelle ucraine.
Negli anni Sessanta e Settanta si scendeva in piazza contro la guerra in Vietnam, il femminismo lottava per i diritti delle donne in tutto il mondo. Allora si combatteva per l’umanità, oggi si combatte per le bollette della luce. Ci siamo ripiegati su noi stessi, anzi ci hanno fatto ripiegare su noi stessi. Perché?
Alla radice di questa involuzione ci sono il fiasco della guerra in Iraq, di quella in Siria, la destabilizzazione di interi continenti come l’Africa. Gli attivisti hanno gettato la spugna e si sono concentrati sulle questioni interne. Black Lives Matter, Me Too, movimenti encomiabili ma circoscritti dentro i confini nazionali del mondo ricco. E’ ora di dire basta! Se bisogna affrontare il grande oppressore, allora che si lo definisca correttamente. Bisogna essere disposti a rischiare tutto non per i pochi, ma per la moltitudine. Questa è una battaglia che può essere vinta solo a livello globale. Se vogliamo conquistare l’eguaglianza bisogna farlo in ogni angolo del mondo e per tutti, per le donne, per i deboli, per chi vuole scegliere il proprio genere nel ricco Occidente e nei villaggi dell’Africa e dell’Asia. Se non lo facciamo allora siamo egualmente colpevoli e pagheremo le conseguenze.
Leggo negli articoli che si riferiscono ad Alessia Piperno nel carcere di Elvin che le esecuzioni avvengono quotidianamente. E’ sempre stato così, non lo sapevamo? All’indomani della rivoluzione iraniana, il padre di un mio amico è stato incarcerato in una di queste prigioni, liberato dopo quattro anni grazie alle negoziazioni di Israele; raccontava che i nomi di coloro che sarebbero stati giustiziati venivano letti all’ora di pranzo, quando la gente mangiava. Ci si alzava e si andava a morire.
Quando ascolto Sallusti che attacca Alessandro Di Battista perché gira il mondo per raccontare le ingiustizie e atrocità che vengono commesse, perché a noi italiani non interessano, mi domando quanto in basso siamo caduti.
Una vita è una vita, non esiste una scala di valori. Se scendiamo a questo livello di compromessi allora domani sarà la nostra vita e quella dei nostri figli e nipoti a contare meno delle altre.