Politica

Sarebbe ora che il Pd imparasse a sbagliare da solo

di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Credo fosse Longanesi a dire: “Non datemi consigli, so sbagliare da solo”. Sarebbe ora che anche il Pd imparasse a sbagliare da solo. Ha le chiavi di casa ed è già maggiorenne; e poi fa specie vedere proprio chi lo ha mal consigliato crocifiggerlo perché ha seguito i suoi consigli.

Il problema nasce da lontano, quando si creò un intreccio tra capitale, finanza e informazione che scelse il Pd come principale interlocutore che, per dirla con Cirino Pomicino, “si trasformò nel braccio operativo della destra neoliberista europea”. E sono proprio i media di questo scellerato gruppo di potere, di cui fanno parte a pieno titolo Repubblica, Corsera, La Stampa, La7 e via cantando, ad aver guidato le mosse di Enrico Letta in queste elezioni.

Sono io che ho sognato fior di giornalisti dipingere Di Maio come il figliol prodigo che si sarebbe portato dietro frotte di pentastellati, confondendo la numerosità degli eletti con quella degli elettori? Sono io che ho sentito parlare di suicidio di Conte per non aver votato la fiducia a Draghi? Sono sempre io che ho letto e sentito parlare di manifestazioni pro Draghi in tutte le piazze italiane dove persino un senzatetto plaudiva a Draghi “per la sua sensibilità per chi vive ai margini”? Siamo seri, e almeno chi, senza il minimo senso del ridicolo, ha sprecato fiumi di inchiostro per convertire il Paese al draghiteismo ora taccia.

Il punto evidenziato da questa vicenda elettorale è invece un altro: può la sinistra ridiventare forza di progresso sociale, economico, di pace e di trasformazione della società verso una nuova solidarietà tra territori e classi sociali? Il Pd è un ostacolo o una necessità per novellare il legame con i ceti popolari e le aree del Paese più disagiate?

Si fa molto parlare delle leadership e se queste vengano prima o dopo una ridefinizione dei contenuti. A mio modo di vedere è come chiedersi se nasca prima l’uovo o la gallina. Ogni leader incarna in sé una visione del mondo. Se il Pd sceglierà Bonaccini, che è un leader regionale che ha scelto di sposare l’autonomia differenziata della Lega, credo che avrà scarse possibilità di rappresentare il Mezzogiorno. Idem per Elly Schlein. Certo recita a memoria il libro della sinistra, ma sembra una Serracchiani d’antan e pare poco densa nella concettualizzazione del momento. Sulla autonomia differenziata del suo ‘capo’ Bonaccini non ho trovato in rete nessuna presa di distanza seria e argomentata a tutto tondo. Non mi pare questione di poco conto, visto il nuovo governo delle destre che il tema, come il governo Draghi, lo ha in agenda.

Chi sarà il nuovo leader capace di mettere insieme l’anima progressista e sociale con quella della destra liberista, che sino ad oggi ha prevalso, senza il collante del potere?
Il Pd credo sia ormai un ossimoro vivente che cerca in continuazione di mescolare acqua e olio – che, appena si ferma il movimento, tornano a separarsi. Forse ha ragione Rosy Bindi e chi pensa che sia meglio il suo scioglimento, lasciando senza il suo ingombro libera la sinistra di ricostruirsi e rigenerarsi, cosa impossibile con il Pd prigioniero dei renziani.

Ma la crisi di rappresentanza del mondo della sinistra è ancora più ampia del Pd. Lo stesso M5S, che per abbandono del campo ha raccolto le istanze sociali e popolari, mi pare inadatto per molte questioni a diventare il dominus dell’area, per non parlare dei generosi tentativi di dare vita a ‘qualcosa di sinistra’ di tante esperienze frammentarie e che paiono prive di prospettive più consistenti.

La crisi di questo campo, disseminato di scorie, risentimenti e sospetti, è talmente ampia e profonda che occorre ridefinirne i confini – cosa possibile solo con un disarmo generale. Non solo il Pd, ma il M5S e tutti i partiti e movimenti dovrebbero sciogliersi per ricostruire insieme ‘qualcosa’ con tutto ciò che c’è a sinistra di Calenda, Renzi e Letta. Così non sarà. Continuerà invece la lotta per l’egemonia e una traversata del deserto infinitamente lunga.

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