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Evasione, il Tesoro rinuncia alla trasparenza. Una modesta proposta per l’opposizione

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Il governo Draghi si congeda dopo aver stabilito un precedente inquietante nel Paese in cui l’evasione fiscale è un fenomeno di massa. La Relazione 2022 con le ultime stime sull’evoluzione del tax gap – la distanza tra il gettito raccolto e quello che si otterrebbe se nessuno frodasse l’erario – non è stata resa pubblica. I motivi della decisione sono ignoti, cosa che alimenta la perplessità su una reticenza sospetta da parte dell’esecutivo uscente, che nel Recovery plan si è impegnato a ridurre del 15% la propensione a evadere. Di sicuro c’è solo il messaggio che sta passando: cittadini ed elettori non vanno informati di quanto le mancate dichiarazioni e i mancati versamenti pesino nel sottrarre risorse allo Stato.

Non aiuta il fatto che solo Il Fatto Quotidiano e Il Sole 24 Ore abbiano dato spazio alla notizia della mancata pubblicazione del testo, delle reazioni di sindacati e parlamentari di Pd, Sinistra italiana, Italia viva e Movimento 5 Stelle e dell’imbarazzante silenzio del ministero dell’Economia. Che non ha ritenuto di dover dare spiegazioni, nonostante la scelta di tenere per sé il documento sia una prima assoluta da quando, nel 2016, è stata creata la commissione di esperti incaricata di “produrre una stima ufficiale dell’ammontare delle entrate sottratte al bilancio pubblico”. (En passant: il primo presidente della commissione fu Enrico Giovannini, ex presidente Istat, attuale ministro del governo uscente).

Per conoscere i contenuti della relazione – che ci dirà se l’evasione è tornata a superare i 100 miliardi l’anno e che effetto ha avuto la flat tax al 15% per le partite Iva in vigore al 2019 – bisognerà attendere che sia inviata alle nuove Camere insieme alla Nota di aggiornamento al Def, probabilmente dopo l’insediamento del futuro governo. La cui premier in pectore come è noto ha in odio il tetto all’utilizzo del contante e i nuovi, preziosi strumenti di contrasto incentrati sull’utilizzo dei dati dell’anagrafe dei conti correnti, finalmente a disposizione dopo travagliate interlocuzioni con il Garante Privacy.

Tant’è. Stucchevole e probabilmente inutile ricordare che con le somme sottratte allo Stato si potrebbe ridurre la pressione fiscale per tutti, cosa senza dubbio opportuna, partendo magari da lavoratori dipendenti e pensionati che oggi pagano il 90% dell’Irpef. E che versare le imposte vuol dire contribuire a finanziare welfare, servizi, aiuti straordinari (è con le maggiori entrate del 2022 che è stata coperta buona parte degli aiuti contro i rincari energetici). Servirebbe qualcosa di più concreto? Per esempio la possibilità di sapere esattamente dove va a finire ogni euro dichiarato? C’è già: basta entrare sulla pagina personale con la propria dichiarazione dei redditi, sul sito delle Entrate. La seconda voce del menù a sinistra è “destinazione imposte“. Leggere la tabella e scoprire che la fetta più grossa finanzia la protezione sociale, seguita da sanità e istruzione, dà un certo appagamento. Una modesta proposta per l’opposizione: di questo orgoglio del contribuente onesto provi a fare una bandiera. Nel lungo periodo potrebbe addirittura pagare.

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