Ancora molte, troppe zone d’ombra permangono sulla vicenda di Hasib, il giovane rom precipitato dal suo appartamento di Primavalle, nel corso di una visita di agenti della Polizia di Stato, entrati senza divisa e senza mandato. Era il 25 luglio e da quel giorno la vita della famiglia Omerovic è cambiata completamente, precipitata in un buco nero dal quale fatica tremendamente a risalire.
Quando venne a trovarmi dopo l’accaduto per chiedere aiuto, ho stentato inizialmente a credere a quell’assurda ricostruzione di eventi concitati, illogici, con l’epilogo drammatico riportato nella foto che mi misero tra le mani, tremanti, e che riportava un giovane sbattuto sull’asfalto e coperto di sangue. Vidi le carte; osservai le foto fermandomi nei dettagli; feci con loro, più volte, la ricostruzione dei fatti nell’appartamento di Primavalle, riascoltando le loro parole e quelle della sorella, unica testimone, ripetendo i movimenti di ciascun familiare.
Ci misi poco a capire che quell’assurda storia era maledettamente vera e solo un’uscita pubblica avrebbe potuto cominciare a riportare a galla la verità da sempre invocata dalla mamma Fatima. Ne è venuto fuori un esposto, due affollate conferenze stampa presso la Camera dei Deputati, due interpellanze parlamentari cadute nel vuoto, un presidio presso il Campidoglio, colonne di giornali, dibattiti televisivi. E poi indignazione, sospetti, accuse nei confronti di presunte Forze dell’Ordine deviate, poi dito puntato addirittura verso Hasib, presunto molestatore seriale, infine critiche nei confronti di indagini troppo lente e macchinose.
Eppure oggi restano numerose pagine strappate qua e là nel libro dove è stampata l’intera vicenda. Negligenza degli investigatori? Ritardi dovuti ad una macchina giudiziaria imbrigliata dalla burocrazia? Tentativi di depistaggio? Non si può ancora rispondere. Si ha solo la certezza che delle domande restano aperte e sulle risposte bisognerà presidiare, se e quando verranno.
Quelle pagine mancanti andranno al più presto riprese e ricucite. Perché l’appartamento dove è avvenuto un tentato omicidio – come riportato da subito nell’ipotesi del Pubblico Ministero – è stato sequestrato solo il 25 settembre scorso, dopo due mesi dall’accaduto? Perché ancora non è stata ascoltata dagli inquirenti Sonita, l’unica testimone oculare dell’accaduto? Perché alla famiglia, nei giorni successivi all’accaduto, sono stati restituiti dagli operatori sanitari vestiti diversi da quelli che Hasib indossava il giorno in cui è precipitato dalla finestra? Chi ha scattato la foto di Hasib precipitato al suolo? Quando un medico legale potrà finalmente stabilire se le ferite di Hasib al momento del ricovero siano tutte compatibili con la caduta dalla finestra?
Domande che allontanano dalla verità e dalla risalita dal buco nero nella quale la famiglia di Hasib è precipitata. Sabato prossimo alle ore 18.00 con una fiaccolata presso il Campidoglio, Fatima, la coraggiosa madre di Hasib, alzerà nuovamente la sua voce per chiedere per l’ennesima volta di conoscere la verità su quanto accaduto dentro le mura domestiche la mattina di quel tragico e doloroso 25 luglio. Questa volta non sarà da sola. Con lei numerose rappresentanze della società civile e soprattutto quanti, nella città di Roma, credono ancora al dovere civico di pretendere e invocare la luce quando ombre oscure si alzano di fronte a vicende omertose, dai contorni nascosti e dalle responsabilità sfuggenti. La posta in gioco questa volta è alta e riguarda tutti, nessuno escluso.