Lo scontro sul campo di battaglia si fa sempre più sanguinoso e continua a coinvolgere anche i civili, quello a suon di dichiarazioni pubbliche anche. Ma sottotraccia, a livello diplomatico, qualcosa sembra muoversi. E al centro delle strategie sembra esserci di nuovo Istanbul. A conferire (forse definitivamente) al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan il ruolo di grande mediatore, dopo il successo ottenuto con gli accordi per lo sblocco del grano ucraino, è stato nelle scorse ore proprio Vladimir Putin. Il Cremlino, per bocca del consigliere diplomatico Yuri Ushakov, ha detto di aspettarsi dall’incontro tra i due leader, giovedì in Kazakistan, una proposta da parte di Ankara che contempli “una loro mediazione. Se ci dovessero essere contratti (tra Russia e Ucraina), questi avranno luogo sul territorio turco. Probabilmente Erdogan proporrà qualcosa ufficialmente”.
Le parole di Ushakov suonano come un’investitura da parte della Federazione nei confronti del Paese anatolico, un’esplicita richiesta di differenti exit strategy. Un compito tutt’altro che semplice quello affidato al presidente Erdoğan: innanzitutto per la decisione di Volodymyr Zelensky di vietare con un decreto presidenziale qualsiasi tipo di trattativa con la persona di Vladimir Putin, poi anche per il sostegno incondizionato alla causa ucraina recentemente ribadito dalle cancellerie europee e dagli Stati Uniti, anche se il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha recentemente mostrato maggiore apertura al dialogo.
La Russia, comunque, si aspetta che Erdoğan porti proposte su diversi format per avviare negoziati tra Mosca e l’Occidente. Per il Cremlino, “diverse iniziative vengono principalmente discusse sui media, che citano vari format di dialogo, tra cui Russia e Stati Uniti e i principali Paesi dell’Europa occidentale. Ci aspettiamo che i turchi propongano qualcosa“. Immediata la risposta positiva arrivata da Ankara: “Vogliamo tenere la porta della diplomazia aperta”, ha dichiarato Ibrahim Kalin, portavoce del presidente. “Quelli che credono che non ci sia più terreno per la diplomazia spesso hanno torto – ha aggiunto – Al contrario, la diplomazia diventa addirittura più importante in tempi come questi, quando la guerra infuria, come purtroppo sembra che stia accadendo in questo momento”. Kalin non si è limitato alle dichiarazioni di facciata, ma ha garantito che l’esecutivo sta “dando consigli a entrambe le parti in questa direzione”.
Questo approccio apparentemente propositivo di Mosca e Ankara si scontra però con la fermezza manifestata, almeno pubblicamente, dal governo di Kiev. Ma quando gli è stato chiesto come pensano di scalfire il muro eretto da Zelensky nei confronti di Putin, dal Cremlino ostentano scurezza: “Mai dire mai”, si è limitato a rispondere Ushakov.
L’impegno della Turchia, però, non sarà a costo zero. Tanto che proprio Mosca si è detta pronta a reindirizzare le forniture dei gasdotti Nord Stream verso il Mar Nero se i partner dovessero essere interessati. “Possiamo trasferire il volume di transito perso lungo i gasdotti Nord Stream, sul fondo del Mar Baltico, alla regione del Mar Nero. Rendere quindi principali le rotte di approvvigionamento del nostro carburante, del nostro gas naturale verso l’Europa attraverso la Turchia, creando il più grande hub del gas per l’Europa in Turchia. Certamente, se i nostri partner sono interessati a questo”, ha detto Putin. Così, i Paesi europei interessati al gas russo potrebbero comunque accedervi, ma senza che questo passi dalla rotta nord, bensì attraverso la Turchia. Anche in questo caso, l’ok scontato di Ankara arriva tempestivo: “La proposta del presidente Vladimir Putin sull’hub del gas in Turchia può essere attuata”, hanno risposto dal ministero dell’Energia.
Non è ancora chiaro quali reazioni abbia provocato questa investitura unilaterale nelle cancellerie occidentali. Non è chiaro se vi sia un collegamento, ma intanto dagli Stati Uniti hanno deciso di alleggerire le restrizioni sulla vendita dei caccia F-16 alla Turchia, uno dei dossier che aveva in qualche modo contribuito all’avvicinamento della seconda potenza della Nato a Mosca. Due misure restrittive sono infatti state rimosse dal Senato americano, in linea con le dichiarazioni pubbliche di Joe Biden dell’anno scorso.