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Rottura Kazakistan-Russia: crisi diplomatica sull’ambasciatore ucraino ad Astana. La guerra spinge il Paese tra le braccia della Cina

Lo scontro è esploso ad agosto, quando l’ambasciatore ucraino in Kazakistan aveva rilasciato un’intervista nella quale aveva affermato: “Più russi uccidiamo ora, meno ne dovranno uccidere i nostri figli”. Dopo questa uscita, Mosca si sarebbe aspettata l’espulsione da parte di Astana del rappresentante diplomatico, mossa che il governo kazako si è guardato bene dal compiere, per rimarcare la crescente distanza dalla Russia

Negli ultimi giorni, tra Russia e Kazakistan – ex alleati di ferro sempre più ai ferri corti – si è assistito a una serie di botta e risposta diplomatici senza precedenti. Un rimpallo di accuse che descrive bene l’aria che si respira nella regione dopo che l’invasione russa dell’Ucraina ha stravolto l’equilibrio geopolitico precedente. L’antefatto è avvenuto ad agosto, quando l’ambasciatore ucraino in Kazakistan aveva rilasciato un’intervista esplosiva, arrivando ad affermare: “Più russi uccidiamo ora, meno ne dovranno uccidere i nostri figli”. Dopo questa uscita, Mosca si sarebbe aspettata l’espulsione da parte di Astana del rappresentante diplomatico, mossa che il governo kazako si è guardato bene dal compiere, per rimarcare la crescente distanza da una Russia sempre più reietta a livello internazionale. Dopo alcune settimane di impasse, due giorni fa il Cremlino ha deciso di convocare l’ambasciatore del Kazakistan a Mosca proprio per protestare contro il mancato allontanamento del funzionario ucraino. La controffensiva diplomatica della repubblica centro asiatica non si è fatta a sua volta attendere: il portavoce del ministero degli Esteri di Astana ha infatti dichiarato che l’atteggiamento della Russia non è quello di un alleato che dovrebbe considerarsi “partner strategico”. Per Putin starebbe arrivando anche la beffa: pare infatti che l’ambasciatore ucraino stia per essere effettivamente sostituito, ma sulla base di quella che il portavoce kazako ha definito “un completo allineamento con Kiev su questo fronte”.

Questa la cronaca del confronto tra cancellerie, a cui sul terreno sociale si affianca il crescente flusso di cittadini russi che stanno giungendo in Kazakistan per evitare l’arruolamento forzato nelle forze armate nazionali. Gli ultimi dati rilasciati dal ministero degli Interni della repubblica centro asiatica indicano che circa 200mila persone sono entrate sul territorio kazako dalla Russia nelle ultime due settimane. Nello stesso periodo, circa 150mila russi sono invece usciti dal Paese, diretti molto probabilmente verso altre repubbliche regionali come Uzbekistan e Kirghizistan. Il leader kazaco, Tokayev, ha dichiarato che i cittadini della Federazione arrivati – che non necessitano di visto per l’ingresso in Kazakistan – non verranno deportati, a meno che non siano inclusi nella lista dei ricercati a livello internazionale. Un ulteriore colpo nei confronti di Mosca, a cui però si è accompagnato l’annuncio di voler aprire un tavolo di dialogo istituzionale con il governo russo proprio per discutere della questione. D’altronde questo grande afflusso potrebbe rappresentare una scossa tellurica per il già fragile contesto sociale kazaco – e di quello degli altri paesi dell’Asia Centrale – a causa, ad esempio, dell’aumento dei costi degli alloggi o dei problemi da parte delle banche locali nel far fronte alla grande e improvvisa domanda di liquidità, come successo in Tagikistan.

Sul fronte politico, riferendosi al conflitto in corso in Ucraina, Tokayev parla ormai apertamente di “guerra su larga scala” e in ogni occasione utile ribadisce l’importanza di salvaguardare l’integrità nazionale del proprio Paese. Un riferimento, quest’ultimo, che il presidente kazaco usa forte anche del sostegno ricevuto da Xi Jinping durante la sua recente visita ufficiale in Kazakistan – suo primo viaggio all’estero dallo scoppio della pandemia – durante la quale il leader cinese ha dichiarato la volontà di Pechino di supportare il governo della repubblica centro asiatica nella difesa della sua integrità territoriale. Un chiarissimo riferimento alle nemmeno troppo velate minacce fatte in tal senso in passato da rappresentanti politici russi di primo livello. È chiaro come la Cina sia sempre più vicina ai governi dell’area anche sul fronte politico, oltre che economico. Ne è riprova il recentissimo voto contrario, dopo le precedenti astensioni, del Kazakistan (e dell’Uzbekistan) all’Onu in merito a una risoluzione per tenere un dibattito sulla situazione dei diritti umani dello Xinjiang. Quella con la Cina è una vicinanza di cui però Tokayev non sembra però accontentarsi. Consapevole della necessità di mantenere intatto l’appeal economico internazionale del Kazakistan – ricchissimo di materie prime – il successore di Nazarbayev si sta spendendo per consolidare le relazioni commerciali kazake. Durante il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ad esempio, ha tenuto un round di incontri con rappresentanti di importanti società statunitensi, tra cui Microsoft, JP Morgan e General Electric.

Il subbuglio nell’ormai ex cortile di casa del Cremlino è sempre più diffuso anche guardando ad altri attori regionali, come Tagikistan e Kirghizistan. I rapporti tra le due più piccole e povere repubbliche centro asiatiche sono da sempre molto tesi a causa di questioni di confine e idriche. A metà settembre si sono registrati pesantissimi scontri che hanno lasciato sul terreno decine di vittime, fiammata a cui ha fatto seguito una fragile tregua. Ieri è arrivata poi la conferma che il leader kirghizo, Japarov, non parteciperà al summit della Csi della prossima settimana a San Pietroburgo. Il motivo è la concomitante partecipazione del presidente tagiko, Rahmon, il leader regionale più saldamente vicino alle posizioni russe che durante l’evento sarà premiato da Putin per aver assicurato “stabilità e sicurezza regionale”. Uno schiaffo troppo forte anche per il presidente di un Paese la cui economia dipende moltissimo da quella russa. Come a dire che l’inquilino del Cremlino ormai sbaglia ogni mossa anche in una regione su cui fino a pochi mesi fa aveva un’influenza difficilmente sovrastimabile. A tutto vantaggio, in primis, della Cina.