In questi casi la fornitura viene garantita dal “servizio di ultima istanza”. Ma è più cara e per le aziende risulta molto più complicato calcolare i costi e stilare i listini. Il problema però riguarda anche alcuni rivenditori di gas che a loro volta non sono riusciti a rinnovare i loro contratti di approvvigionamento con gli importatori
La tempesta energetica che si sta abbattendo sulle imprese italiane non sembra dare tregua. Ma la situazione è resa ancora più complicata dal fatto che molte aziende si sono affacciate all’inizio dell’anno termico il primo ottobre senza un contratto di fornitura di gas. Si tratta di un problema che riguarda soprattutto alcuni settori produttivi, come la carta e la ceramica, che utilizzano grossi volumi di energia. Certo, il fatto di non avere un contratto non significa rimanere a secco. In questi casi, infatti, il gas viene garantito dal “servizio di ultima istanza” che, a seconda delle zone, è stato assegnato dall’autorità dell’energia Arera a una società del gruppo Enel e a una del gruppo Hera. Ma questo paracadute non è di sicuro la soluzione migliore per un’impresa. Intanto perché l’energia acquistata attraverso il canale dell’ultima istanza è più cara, e poi perché risulta molto più complicato calcolare i costi e stilare i listini. Eppure il ricorso al servizio è diventato sempre più diffuso: quest’anno termico, che va dal primo ottobre al 30 settembre dell’anno prossimo (la durata standard dei contratti di energia), è iniziato con pochissimi rinnovi rispetto al solito.
Un paradosso, visto che, almeno per ora, di metano in Italia ce n’è. Insomma, non è la carenza di gas a impedire i rinnovi dei contratti, ma un mercato dell’energia impazzito che fa fuggire i rivenditori dai clienti energivori. “I contratti non sono stati rinnovati per motivi di prezzo: il fornitore di energia non poteva assumersi l’esposizione finanziaria legata a prezzi così alti” spiega a ilfattoquotidiano.it Massimo Bello, presidente di Aiget (l’associazione dei grossisti e trader di energia). “In secondo luogo, per i maggiori rischi di insoluto, e infine perché ci sono fornitori che non sono riusciti a rinnovare i contratti di fornitura all’ingrosso”. E i più penalizzati sono stati proprio i settori energivori.
“Ci sono aziende che non hanno ancora il contratto per il prossimo anno. È una situazione abbastanza diffusa” spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente di Confindustria Ceramica, Giovanni Savorani. “Non sappiamo in che percentuale, anche perché per le aziende si tratta di un elemento riservato. Purtroppo il gas è diventato l’elemento competitivo del settore. Non lo è mai stato prima”. A frenare i rinnovi ci sono spesso le richieste di garanzie e di anticipi da parte dei trader di energia. Richieste che, ai prezzi attuali, molte aziende non sono in grado di soddisfare. “Basti pensare che l’anno scorso l’industria italiana delle piastrelle di ceramica ha fatturato 6,2 miliardi di euro con una bolletta del gas pari a 250 milioni di euro mentre quest’anno sta tra i 2 e i 2,5 miliardi di euro”, prosegue Savorani. Un incremento che ha già causato una riduzione della produzione: circa 2mila addetti delle imprese del settore, pari al 10% dei 20mila totali, sono in cassa integrazione.
Ma anche le cartiere sono sotto pressione. Sono circa una quindicina le aziende che non hanno un contratto di fornitura. Alcune anche di grandi dimensioni. “Molte aziende sono senza contratti o si trovano di fronte a condizioni un po’ difficili da ottemperare”, commenta a ilfattoquotidiano.it il direttore generale di Assocarta, Massimo Medugno. “Spesso gli operatori chiedono due o tre mesi di anticipo: per un’azienda significa pagare anche qualche milione di euro”. La maggior parte delle imprese è costretta così a ricorrere al servizio di default mentre una minoranza, composta dalle aziende più grandi, compra il gas giorno per giorno sul mercato spot. “Senza contratti però diventa difficile programmare l’attività economica: per fare i listini è necessario sapere quanto incide il gas sui costi”, prosegue Medugno.
Il problema però riguarda anche le aziende che acquistano il gas dai grandi importatori e lo rivendono a famiglie e imprese. “Abbiamo diverse segnalazioni di fornitori di energia che non sono riusciti a rinnovare i loro contratti di approvvigionamento con gli importatori”, spiega Bello, presidente di Aiget. “Per acquistare l’energia e il gas all’ingrosso i fornitori devono anticipare il pagamento della materia prima rispetto a quando incassano dai clienti”, prosegue Bello. “In una situazione nella quale i prezzi sono cresciuti di venti volte, questo genera un’uscita finanziaria molto importante”. Senza contare che si iniziano a registrare dei ritardi nei pagamenti delle forniture da parte delle imprese. I fornitori si trovano così in una situazione asimmetrica, schiacciati da richieste di garanzie ed esborsi che non possono scaricare a valle, se non in minima parte. “Il risultato è che non c’è convenienza a proporre contratti di fornitura a clienti finali. In questi mesi, poi, ci sono state anche delle risoluzioni contrattuali perché è diventato troppo rischioso e antieconomico fare delle forniture”.
Oltre a questo, i rivenditori devono fare i conti con una vera e propria stretta creditizia: “Per poter comprare l’energia” spiega Bello “dobbiamo versare anticipi e presentare fideiussioni in una misura che eccede la disponibilità a concederli da parte del sistema bancario”. Insomma, non è la materia prima a mancare, ma il credito. Nella situazione attuale, la copertura prestata da Sace sul 90% del valore del credito erogato, introdotta a marzo con il decreto Ucraina, non è più sufficiente. Molte banche, infatti, non vogliono accollarsi nemmeno quel 10% di rischio. Secondo il presidente di Aiget, “una soluzione potrebbe essere quella di estendere il meccanismo della garanzia Sace fino al 100% del finanziamento”. Una misura chiesta anche da altre associazioni di categoria come Confindustria Ceramica e Assocarta.