Per la prefettura si trattava di una situazione "in via di graduale normalizzazione", che presto avrebbe superato anche il "danno d'immagine" che il primo cittadino Roberto Dipiazza aveva lamentato di fronte ai troppi richiedenti asilo abbandonati all'addiaccio in pieno centro città. Invece non si è risolto nulla, tanto che oltre 600 triestini hanno deciso di scrivere alle autorità perché risolvano l'emergenza umanitaria in corso da mesi: "Oltre alla mancanza di umanità - scrivono - nel loro abbandono c’è anche una grave violazione delle norme"
Una situazione “in via di graduale normalizzazione”, aveva detto a ilFattoquotidiano.it la prefettura di Trieste quando ancora mancavano due settimane alle elezioni di fine settembre. Ma a quanto pare nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia il problema dei richiedenti asilo all’addiaccio non si è affatto risolto. La pensano così gli oltre 600 firmatari di un appello inviato allo stesso prefetto di Trieste, Annunziato Vardè, e al sindaco Roberto Dipiazza perché si impegnino a trovare un riparo alle persone in arrivo dalla rotta balcanica che ormai da mesi sono senza un riparo. La causa? Come avevano spiegato le stesse prefetture di Trieste e Udine, il sistema di accoglienza della regione è congestionato dal rallentamento dei trasferimenti dei richiedenti asilo verso le altre regioni, che vanno disposti dal ministero dell’Interno e che risultano visibilmente rallentati.
“Alcuni giorni fa intorno a mezzanotte una nostra amica, in arrivo con l’ultimo treno da Milano, all’uscita della Stazione, ha visto decine di uomini, donne e ragazzi che dormivano al riparo (?) di una piccola tettoia [..]. Coperti alla meno peggio da cartoni e fogli di plastica, si difendevano, stretti gli uni agli altri, dalla pioggia e da un freddo pungente già quasi invernale”. Inizia così la lettera datata 9 ottobre inviata alle autorità locali perché intervengano di fronte a una situazione che alcuni tra gli operatori locali dell’accoglienza denunciano ormai da mesi. Centinaia le persone, in maggioranza afghani e pakistani, che si sono già registrate presso la Questura e che hanno manifestato la volontà di richiedere protezione, fatto questo che comporta il diritto ad essere accolti e assistiti (D.Lgs 142/2015 art. 1 co. 2).
Come è stato scritto anche dal Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati Onlus di Trieste (Ics), che per dieci volte nei mesi scorsi ha segnalato la loro presenza con tanto di nomi e cognomi, molti dei cittadini stranieri presenti a Trieste sono ormai in strada da settimane, e nella loro condizione si trovano anche famiglie con bambini piccoli e migranti che portano addosso i segni della cosiddetta rotta balcanica. “Nell’assoluta indifferenza delle istituzioni che dovrebbero invece ricollocarli in sedi di prima accoglienza. Ogni notte, ci riferiscono le associazioni, è una scelta drammatica: a chi, tra i più vulnerabili dare un giaciglio provvisorio al chiuso e lasciarne per strada altre decine”, continua la lettera, che tra le firme più autorevoli vede quelle di esponenti del mondo sanitario, scientifico, della cultura, delle istituzioni pubbliche e delle comunità religiose.
Ancora: “Li chiamiamo migranti ma si tratta di persone che hanno diritto a un posto di accoglienza, che, secondo le disposizioni di legge, dovrebbe essere assegnato con immediatezza dal momento che hanno chiesto asilo e sono prive di mezzi. Oltre alla mancanza di umanità, nel loro abbandono, c’è anche una grave violazione delle norme“. Poi le responsabilità: quelle del Viminale che non trasferisce i richiedenti caricando la città di un peso che attualmente non ha mezzi per sostenere. Quelle del prefetto, “che di fronte a una situazione di difficoltà iniziata già da luglio, avrebbe dovuto agire con maggior sollecitudine per collocare temporaneamente le persone in attesa di trasferimento o per inserirle nel sistema di accoglienza diffusa di Trieste”. E infine quelle del Comune, con il sindaco Dipiazza che si era lamentato per il “danno d’immagine” che la mancata gestione dei richiedenti causava alla città. La lettera lo accusa invece di “non agire di concerto con la Prefettura per individuare e aprire spazi provvisori, per evitare di abbandonare così tante persone alle intemperie”.
La conclusione dell’appello: “Non si tratta, come Loro ben sanno, di allestire nuove strutture abitative ex-novo, ma di individuare in tempi strettissimi spazi idonei per garantire un riparo dal freddo e un utilizzo civile di servizi igienici di prima necessità, in attesa che arrivi il giorno del collocamento o della partenza agognata. Solo per esempio l’ex palazzetto dello sport o i molti spazi vuoti nella stessa area della stazione o la stessa sala Tripcovich (ex teatro, ndr) che, in attesa della sua annunciata demolizione, possa per un’ultima volta svolgere una luminosa funzione di profonda umanità. Perché il problema non è il “decoro” della piazza della stazione, ma l’abbandono delle persone. Il decoro è umanità, accoglienza, civile convivenza e riconoscimento dell’altro”.