Un trattato sentimentale sulla resilienza che, giocando a carte scoperte le carte della bontà, reagisce e vince sulle imprevedibili avversità del destino, rintracciate nelle schegge di memoria di un uomo nel corso della sua vita. Quando nel 2019 uscì Il colibrì di Sandro Veronesi, che l’anno successivo avrebbe vinto il premio Strega, nessuno mise in dubbio si trattasse di un’opera sul senso ineffabile della vita laddove però ogni elemento universale virava magicamente al personale, come se il testo insomma fosse scritto per ciascun singolo lettore. Quali che fossero le ottime intenzioni di Francesca Archibugi nel decidere di adattarlo per il cinema, la prima e principale sfida da affrontare era la complessità del testo letterario, definito “avventuroso” dalla stessa cineasta, così inserito in un unico flusso di avvenimenti accaduti in piani sfasati della vita, e tuttavia posto senza l’ausilio di cornici, cartelli e umilianti spiegazioni per i destinatari dell’opera.
Un parto dunque di ardua “gestazione”, per il quale la regista romana ha chiamato a soccorso un altro premio Strega, Francesco Piccolo e Laura Paolucci alla sceneggiatura. Così il romanzo è diventato il film che stasera ha aperto la 17ma Festa del Cinema di Roma – la prima a direzione artistica di Paola Malanga – dopo la sua prima mondiale lo scorso settembre al Festival di Toronto.
Propostole da Domenico Procacci, che l’ha prodotto con la sua Fandango (assieme a Rai Cinema e la francese Les Films des Tournelles), Archibugi si è detta “orgogliosa e impaurita” di portare sul grande schermo questo romanzo “che tanto mi ha spaventato e folgorato, ma” – ha aggiunto – “volevo fosse mio al 100%”. In realtà la materia cinematografica è assai fedele alla fonte di partenza, forse addirittura troppo, a discapito di un’auspicabile maggiore distanza portatrice di idee di cinema più coraggiose. Da parte sua, Sandro Veronesi ha comunque apprezzato la capacità degli sceneggiatori di “mantenere vivo quel coraggio di spezzare la linea cronologica della narrazione, più accettata dai lettori che non dagli spettatori giacché le immagini implorano sempre un prima e un dopo. E loro non hanno tradito il romanzo ma l’hanno tradotto”. Una traduzione che molto deve al montaggio sapiente di Esmeralda Calabria.
Corpo, volto e anima del protagonista Marco Carrera è un sempre strepitoso Pierfrancesco Favino, che ha sentito questo personaggio assai vicino al proprio spirito: “Esprime un tipo di maschilità raramente raccontata che non ruota attorno all’ossessione della sessualità, un uomo che mette sempre gli altri prima di sé, e che arriva da un romanzo in cui come raro avviene la borghesia non viene giudicata, o meglio l’autore non guarda dall’altro il mondo da cui proviene. Chi vedrà questo film in sala – ha aggiunto Favino – si sentirà un po’ meno solo. Marco non è un uomo immobile, anzi, e io mi ci ritrovo. Quando mi è arrivata la proposta di interpretarlo non è che ci ho pensato molto, mi sono detto ‘che figata’”. All’attore romano si accompagna un cast corale di primo livello, assai ben selezionato che annovera tra gli altri Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante e – non per ultimo – Nanni Moretti. Che ha celebrato la gioia di “fare solo l’attore, essendo la sesta volta in 30 anni che Francesca me lo chiedeva e non potevo più rifiutare, e ne sono stato felice anche perché il libro e i personaggio erano bellissimi, quindi fare solo attore per me è stato bello e rilassante”. Il Colibrì uscirà da domani in oltre 400 copie grazie a 01 Distribution.
La giornata odierna di inaugurazione ha visto anche il Premio alla Carriera del grande James Ivory: evergreen novantenne che ha scelto di venire in Italia a farsi festeggiare, presenziando anche all’omaggio dedicatogli attraverso tre sue iconiche opere. Da annoverare anche la buona opera seconda dell’italo-francese Sophie Chiarello, Il cerchio, unico film italiano concorrente in Alice nella Città, sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema di Roma dedicata alle nuove generazioni. Un lavoro documentario girato nel corso di 5 anni presso una scuola elementare romana che mette in scena i bambini sia nel processo evolutivo individuale e relazionale, sia nel loro rapporto alle grandi domande della vita. Con esiti sorprendenti.