“Per me è una questione d’onore. Piuttosto questo governo non nasce”. Così Giorgia Meloni ha risposto a un interlocutore giovedì mattina presto sulla questione Licia Ronzulli, ovvero il motivo scatenante per cui la nuova maggioranza si è ribaltata in partenza. La premier in pectore non ha voluto sentire storie: Ronzulli in Consiglio dei ministri non ce la vuole, in quella sala lei non entra, a quel tavolo non si siede. Se poi Forza Italia le vuole dare un posto da viceministra o da sottosegretaria, nessun problema. Ma in Cdm no. Lo aveva ribadito nel vertice con Silvio Berlusconi mercoledì sera, andato malissimo proprio per questo motivo, e l’ha ripetuto giovedì mattina. A quel punto la decisione, quasi drammatica, dei berluscones: dobbiamo mandare un segnale, Meloni non può passarla liscia così, alla prima “chiama” a Palazzo Madama non ci presentiamo. E così accade, con i soli Berlusconi ed Elisabetta Casellati, ex presidente del Senato, a partecipare al voto per “rispetto istituzionale”. Ma si tratta di due probabili schede bianche.

All’opposizione si fiuta che dall’altra parte ci sono problemi. E grossi. E una parte decide d’infilarsi, recitando il medesimo copione che i forzisti avevano interpretato quando provocarono la caduta del governo Draghi. A luglio, infatti, fu Berlusconi, insieme a Salvini, a infilarsi nel mancato voto al governo da parte dei 5 Stelle, ora invece è stata l’opposizione a inserirsi nelle crepe della maggioranza facendo eleggere Ignazio La Russa presidente del Senato senza i voti di Forza Italia. I sospetti, naturalmente, cadono tutti su Matteo Renzi. “È stato quel signore là, quello che sta tenendo banco coi cronisti (Renzi, ndr). Ma qualche voto è arrivato pure dal Pd…”, osserva Roberto Menia, tornato in Parlamento con Fdi dopo una vita passata nella destra italiana. Più Renzi che Calenda, dunque, ad attirare i sospetti, anche perché il leader di Azione esce dall’aula durissimo su La Russa.

“Non avremmo mai potuto votare un postfascista del tutto inadeguato a questo ruolo. Che oltretutto ha fatto un discorso di una banalità sconcertante”, dice l’ex ministro dello Sviluppo economico. “Noi abbiamo votato scheda bianca”, giura Renzi, che poi riattacca la solita intemerata nei confronti di Enrico Letta. Non solo per il mancato accordo elettorale sui collegi, ma soprattutto per la possibile intesa Pd-5 Stelle sulle cariche che verranno: vicepresidenti, questori, presidenti di commissioni. “Ci vogliono far fuori da tutto”, si lamenta l’ex sindaco di Firenze. “Se fossi stato io a votare La Russa, l’avrei rivendicato”, aggiunge.

Intanto, conti alla mano, qualcuno all’orizzonte intravede già i contorni di una nuova maggioranza. “È arrivato il vero segnale a Giorgia Meloni: se ti servono voti per sostituire Forza Italia, ci siamo noi. Sono prove tecniche di maggioranza alternativa. E se oggi io faccio un favore a te, magari tu domani lo farai a me…”, ragiona prosaicamente un autorevole esponente del Pd in un corridoio di Palazzo Madama. A via Della Scrofa, intanto, si brinda per La Russa e si esulta per il colpo a vuoto di Berlusconi: voleva suonarci ed è uscito suonato. “Ringrazio tutti, anche quelli che mi hanno votato e che non appartengono alla maggioranza…”, ha esordito il neo presidente nel discorso inaugurale.

E adesso? “Dobbiamo ricucire, ricostruire. I veti di Meloni non erano solo su Ronzulli, ma anche su altro. Volevamo mandare un segnale forte per rappresentare il nostro malcontento e abbiamo sbagliato i calcoli. Ma poi La Russa lo avremmo votato. Ora però bisogna andare avanti e riallacciare i fili dell’alleanza, a cominciare dalla squadra di governo”, spiega il forzista Alessandro Cattaneo. Insomma: Fi ha accettato di sacrificare Ronzulli e ora si aspetta un riequilibrio.

A Montecitorio, intanto, alla presidenza in quota Lega tramonta il nome di Riccardo Molinari, che resterà capogruppo, e sale quello di Lorenzo Fontana: sarà lui nome del centrodestra per quello scranno. Anche Salvini batte un colpo, dunque, con un personaggio più ingombrante, esponente della destra ultraconservatrice. Mentre Giancarlo Giorgetti pare ormai destinato all’Economia. “Se la Lega mi manda al Mef, ci vado…”, ha detto. “La giornata di oggi ha smentito la narrazione degli ultimi mesi: per Meloni il vero problema potrebbe non essere Salvini, ma Berlusconi”, sussurra un deputato del Pd uscendo da Montecitorio. Nessuno la invidia, “Giorgia”.

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