Stare in Borsa non sarà più la stessa cosa per le società americane, perché dovranno imparare a fare i conti con il clima che cambia. Soprattutto, dovranno spiegare per filo e per segno quanto sono esposte al rischio climatico e come intendono intervenire per mitigare questo rischio. È una vera e propria rivoluzione per Wall Street. Dopo sei mesi di consultazioni pubbliche e oltre 14.000 osservazioni, nella culla del capitalismo americano, entra definitivamente in vigore il nuovo regolamento proposto dalla US Securities and Exchange Commission (SEC) che impone alle aziende quotate regole più severe in materia di comunicazione del rischio climatico.
Quattro ricercatori europei ed americani (Edgar Hertwich, Università norvegese di scienza e tecnologia, Stefano Carattini e Givi Melkadze della Georgia State University e Jeffrey G. Schrader della Columbia University) hanno esaminato il potenziale impatto di queste nuove regole. Il loro lavoro è stato pubblicato su Science. “Circa il 50% del portafoglio standard di un’istituzione finanziaria europea media è esposto a rischi di transizione, una volta che si considerano a rischio non solo le società di combustibili fossili, ma anche i settori ad alta intensità di carbonio come l’agricoltura, l’alluminio o l’acciaio”, hanno scritto. “Se le aziende non sono tenute a riferire e riconoscere in che modo tali rischi potrebbero influire sulla loro salute finanziaria – scrivono – ciò potrebbe influire sulla stabilità dell’intero sistema finanziario. Come abbiamo appreso con la Grande Recessione, la realizzazione del rischio sistemico può portare a una dolorosa recessione e alti livelli di disoccupazione”. Francia, Nuova Zelanda, Giappone e Regno Unito richiedono già alle grandi aziende di segnalare i rischi finanziari legati al clima.
Il vantaggio dell’attuazione della norma SEC proposta, tuttavia, è che si applicherebbe sia alle società statunitensi che a quelle internazionali negoziate sui mercati azionari statunitensi. La divulgazione dei rischi climatici nell’ambito dell’approccio proposto dalla SEC significherebbe che praticamente tutte le aziende dovrebbero riferire secondo le stesse regole. Ciò impedirebbe alle aziende di fornire un quadro fuorviante del loro rischio climatico, hanno scritto i ricercatori.
“Altri paesi – ha detto a 30Science.com Stefano Carattini della Georgia State University – hanno previsto di adottare delle norme simili in futuro o le hanno in consultazione al momento (per esempio Canada o Svizzera). La Banca d’Italia ha recentemente organizzato degli eventi su temi legati alla transizione ecologica, ma non mi sembra abbia ancora introdotto misure come quelle in uso negli altri paesi e ora anche negli Stati Uniti”. Una regola del genere sarebbe molto importante per il nostro paese, soprattutto perché siamo al centro di uno dei punti caldi per quanto riguarda i rischi dei cambiamenti climatici. Basta pensare al caso dell’acqua.
“Al momento – spiega Carattini – si tratta di chiedere alle imprese di condividere informazione a proposito delle loro emissioni, come il Greenhouse Gas Reporting Program in America. Questo tipo di programma però ha un obiettivo molto più limitato, ovvero, le grandi imprese inquinatrici ed emissioni correnti dirette”.
“Le banche centrali in Francia, Olanda, Regno Unito o la stessa BCE – ha aggiunto – hanno effettuato una serie di simulazioni per verificare l’effetto di una politica climatica più restrittiva sulla stabilità di ogni istituto finanziario e di riflesso del sistema finanziario nel suo insieme”.
Al momento però resta difficile capire dove e come i cambiamenti climatici possano andare a compromettere i singoli business. Gli strumenti di analisi sono infatti ancora troppo a maglie larghe. “Per quanto riguarda l’impatto dei cambiamenti climatici sull’economia – spiega Carattini – , al momento la risoluzione principale è a livello di macroregioni (continenti praticamente) e il modello di riferimento è il RICE messo a punto dal Premio Nobel, William Nordhaus. Un progetto dell’Università di Chicago ha lo scopo di simulare questi effetti in modo più preciso, in termini geografici. Questi modelli non tengono però conto delle frizioni nei mercati finanziari, ragione per cui ho appena ricevuto un finanziamento per correggere questi modelli in modo da includere queste frizioni”.
Emanuele Perugini