La notte del 25 settembre, parlando dalla sede del comitato elettorale di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha scandito: “Non siamo a un punto di arrivo, siamo a un punto di partenza. È da domani che dobbiamo dimostrare il nostro valore”. La premier in pectore, che dall’invasione dell’Ucraina ha indossato la veste della convinta atlantista rivendicando il sostegno alle sanzioni contro la Russia, sa bene che l’ampia vittoria alle urne l’ha catapultata in prima linea in uno scenario da economia di guerra. In senso figurato, si intende. Ma in campo ci sono gli elementi per una crisi con pochi precedenti: interi settori fermi causa rincari energetici, richieste di cassa integrazione in aumento, famiglie alle prese con bollette insostenibili mentre il potere d’acquisto dei salari scende a picco, gare del Recovery plan deserte perché il costo delle materie prime è aumentato a dismisura rispetto a quando il Pnrr è stato scritto, tassi di interesse sui titoli di Stato che esplodono per effetto della stretta della Bce. E una legge di Bilancio per il 2023 da mettere a punto in poche settimane, con margini risicati e incertezza estrema sulle risorse per finanziarla: se le forniture di gas russo si azzereranno, le attuali stime di rallentamento del pil diventeranno in un attimo troppo ottimistiche. Margini per l’usuale luna di miele tra un nuovo governo e l’opinione pubblica stavolta non ce ne sono. (…)

Alla ripartenza autunnale, le aziende energivore – acciaierie, produttori di ceramica e vetro, cartiere, cementifici – hanno iniziato a ridurre i turni o produrre solo di notte e all’alba per contenere le bollette. La mappa è in continuo aggiornamento, ma dalle ricognizioni dei sindacati emerge che in settembre, dal Veneto alla Sicilia, molti gruppi dell’acciaio e della chimica, del cartario, della meccanica e del tessile hanno chiesto alcune settimane di cassa integrazione. Appesi a prezzi energetici impazziti, gli imprenditori si sono riservati la possibilità di fermare le macchine. Decideranno in base alle quotazioni del gas, a disponibilità e costi delle altre materie prime e ovviamente agli interventi di supporto che arriveranno dal nuovo governo. Che una volta insediato individuerà un elenco di realtà strategiche per il Paese la cui produzione non deve fermarsi in alcun caso. Per gli altri si vedrà. Commercianti, artigiani, ristoratori e gestori di attività ad alto consumo di energia come le lavanderie invocano a loro volta altri aiuti: secondo Confartigianato sono a rischio chiusura 880 mila micro imprese con 3,5 milioni di addetti. Tutti si aspettano perlomeno una riedizione dei crediti di imposta (del 30 o 40% a seconda della tipologia di impresa) sulla spesa energetica, che Draghi ha prorogato fino a fine novembre. Riproporli solo per il mese di dicembre costa però la bellezza di 4,7 miliardi. Basta aggiungere la replica del taglio delle accise sulla benzina, ora confermato solo fino al 31 ottobre, e si arriva a 6,7. Considerato che andranno ripianati 3,7 miliardi di fondi congelati ai ministeri per finanziare il decreto Aiuti ter, ultimo atto legislativo di Draghi, il tesoretto spuntato nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) grazie a entrate fiscali 2022 a loro volta gonfiate dall’inflazione è già prosciugato.

L’emergenza bollette intanto travolge anche le famiglie. A partire da quelle con redditi più bassi che, pur avendo optato in maggioranza per il Movimento 5 Stelle, hanno dato notevole fiducia anche a Meloni. Con i prezzi che galoppano salari e pensioni valgono sempre meno, cosa che minaccia di scatenare tensioni sociali. Mettendo a nudo le contraddizioni di una leader che si è presentata come vicina ai cittadini in difficoltà per il caro energia, ma sostiene le sanzioni e l’invio delle armi all’Ucraina. Per non dire del fatto che il suo braccio destro Guido Crosetto presiede la lobby delle aziende della difesa e dell’aerospazio (tra cui i produttori di armamenti). E allora bisognerà parlar chiaro agli italiani e avviare una campagna informativa martellante su come ridurre i consumi domestici. Ma in parallelo nella manovra 2023 occorrerà almeno replicare l’azzeramento degli oneri generali di sistema e la riduzione dell’Iva sul gas. Il conto è di un miliardo al mese, ma la cifra può variare di molto: dipende dalla direzione che prenderanno le quotazioni della materia prima dopo i “sabotaggi” dei gasdotti Nord Stream. Su questo fronte il prossimo governo ha alcune carte da giocare: uno dei primi atti sarà quasi certamente un decreto per sbloccare i progetti di produzione da rinnovabili congelati dalla burocrazia favorendo il risparmio di gas. In più l’Italia potrebbe andare avanti da sola, se la Ue continua ad arrancare, sul “disaccoppiamento” del prezzo dell’energia da fonti green da quella prodotta con il metano.

Difficile poi, per quanto il beneficio sia di pochi euro al mese, che il nuovo governo cancelli il mini esonero (2%) dai contributi previdenziali in vigore da luglio per i lavoratori dipendenti con redditi sotto i 35 mila euro: Meloni ha inserito proprio il taglio del cuneo tra le priorità per il 2023. Prorogarlo per 12 mesi nella versione attuale costa altri 3,5 miliardi. Poco meno servirebbe per riproporre il mini bonus da 150 euro a chi ne guadagna meno di 20 mila. Per le pensioni, da gennaio dopo anni di rivalutazioni solo parziali scatta l’adeguamento pieno all’inflazione del 2022 che ad oggi si attesta al 7,1%. In campo previdenziale, poi, a fine anno scadono “quota 102”, Opzione Donna e l’anticipo pensionistico sociale per disoccupati, caregiver e per chi ha un lavoro gravoso: senza interventi si torna alle regole della Fornero. Bestia nera della Lega. ma anche di Fratelli d’Italia. (…)

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