di Paolo Malintoppi
Sono nato nelle Marche. Ho trascorso gran parte della mia esistenza in questa regione. Non essendo di tenera età, posso dire di aver visto la trasformazione del territorio che è avvenuta negli ultimi 60 anni. Fino agli anni ’60 le nostre colline erano completamente piantumate. Prevalentemente, c’erano file di alberi (aceri) che sostenevano le viti. C’erano, inoltre, le piante dei vari frutti e molti ulivi. I poderi erano spesso limitati dalle siepi (preziose). Il terreno aveva ancora capacità di assorbire l’acqua. Aveva un effetto “spugna” sia per merito della rotazione delle coltivazioni che della concimazione esclusivamente organica.
Nel giro di pochi anni, per non avere intralci e per facilitare l’utilizzo di macchine agricole sempre più grandi, gran parte degli alberi sono stati estirpati ed il terreno ha perso lo strato superficiale ricco di humus. I mezzi agricoli pesanti compattano il terreno. Il terreno ha perso tutte le sue caratteristiche peculiari. L’acqua, bene supremo, non alimenta più le falde e i corsi d’acqua. La poca pioggia che cade scorre rapidamente nelle valli. Va nei corsi d’acqua e fa danni. A questo si aggiunge l’aumento esponenziale delle superfici impermeabili (strade, capannoni, piazzali ecc).
Sinceramente, mi fanno pena i vari esperti che imperversano nei vari organi di informazione. Hanno inculcato nella mente della gente la certezza che il problema si risolva col togliere le frasche dai fossi e dai fiumi. Pongo una domanda ai vari soloni: quanti anni sono necessari per avere uno spessore di 1 (un) centimetro di humus?