La maggioranza degli europei è insoddisfatta di come i propri governi stanno gestendo l’emergenza carovita, e i meno contenti siamo proprio noi italiani, insieme agli inglesi. L’82% di chi vive in Italia e nel Regno Unito ritiene che le misure per far fronte alla perdita del potere d’acquisto siano inadeguate, contro il 78% dei tedeschi, il 74% degli spagnoli, e sei su dieci tra svedesi e danesi. È per l’Italia tuttavia che la lista stilata dal centro di ricerca britannico YouGov esprime le maggiori preoccupazioni. Più di nove italiani su dieci (il 93%) stanno pianificando tagli o hanno già dovuto ridurre le proprie spese, una quota superiore a quella di Francia, Spagna e Germania dove la media è intorno all’80%.
Senza troppa sorpresa, la prima difficoltà per le famiglie italiane è l’aumento del costo dell’energia, e il rapporto di YouGov lancia un messaggio diretto al prossimo governo ovvero agire in fretta per aiutare il 41% degli italiani che hanno dichiarato di aver fatto fatica a pagare le proprie bollette di luce e gas negli ultimi tre mesi, e quel 32% che ha avuto problemi nel comprare le benzina necessaria. Un disagio diffuso in tutta Europa che però in Italia evidenzia livelli maggiori.
A condividere il grado della nostra insoddisfazione sono gli inglesi in balia delle “turbolenze economiche” innescate dalla mini finanziaria del governo Truss, per usare le stesse parole dell’ex cancelliere dello Scacchiere (il ministro dell’Economia britannico, ndr) Kwasi Kwarteng, licenziato ieri a 38 giorni dalla nomina. La manovra presentata a fine settembre prevedeva taglio delle tasse ai più abbienti e alle categorie produttive. Lo scopo era di incentivare un effetto economico virtuoso che, in teoria, a cascata dovrebbe portare benefici anche per le fasce della popolazione economicamente più deboli. Una manovra finanziata per cui non erano però chiare le coperture, che rischiava di fare ricorso esclusivamente all’indebitamento pubblico, elemento che ha provocato forti perplessità (e reazioni) degli investitori internazionale, costringendo la banca centrale inglese ad intervenire a difesa di sterlina e titoli di stato britannici. Ieri la decisione della premier Truss di sostituire Kwarteng con l’ex ministro degli Esteri Jeremy Hunt.
I segnali di difficoltà tra la popolazione nel frattempo però si intensificano. Il 91% dei banchi alimentari segnala un incremento delle richieste di aiuto. La metà dei centri rischia però di non riuscire a soddisfare a domanda a causa per il crollo di donazioni, secondo una ricerca di Ifan (Independent Food Aid Network). Accanto alle banche del cibo in tutto il Regno Unito si stanno diffondendo le cosiddette ‘warm bank’ allestite da comuni, comunità locali e associazioni di beneficenza in luoghi come biblioteche, centri parrocchiali o sportivi, dove le persone possono trovare un posto per scaldarsi, un pasto caldo e immancabile una tazza di the.
“In Gran Bretagna la povertà colpisce il 22% della popolazione, circa 14,5 milioni di persone, tra cui è in aumento la povertà estrema”, ci spiega Paola De Agostini, economista senior della Joseph Rowntree Foundation: “Un nostro sondaggio ci mostra che i tre quarti della popolazione in povertà estrema rischia di dover rinunciare ad almeno uno di questi due beni essenziali: comprare da mangiare o accendere il termosifone. Il 27% di queste persone non riesce a scaldare la casa, il 21% ha difficoltà sia a comprare cibo che a pagare il riscaldamento, mentre il 45% ha saltato i pasti perché a corto di risorse economiche”.
Il governo ha varato un pacchetto di misure che prevede un tetto massimo di spesa per le bollette energetiche per aiutare le famiglie, tuttavia, spiega De Agostini resta ancora una differenza di circa 450 sterline in media tra le bollette e la disponibilità di reddito delle famiglie. “Per coprire questa cifra, la nostra raccomandazione al governo è quella di aumentare i sostegni alla famiglie in linea con l’inflazione, il prima possibile per agevolare le famiglie durante l’inverno e dunque anticipando l’indicizzazione dei benefit che di solito avviene ad aprile”, afferma De Agostini che aggiunge, “In base alle nostre analisi, aumentare i sussidi in linea con i salari e non con l’inflazione potrebbe far perdere ad una famiglia, composta da due genitori e due bambini, una media di 300 sterline all’anno che in aggiunta all’aumento dei costi rende difficilissimo affrontare spese per beni essenziali come cibo e riscaldamento”.
All’economista della fondazione Jfr, specializzata in studi sulla povertà. chiediamo quale monito e quale lezione possiamo imparare dal modello Gran Bretagna, che in questi giorni sta discutendo un’inversione di marcia della finanziaria che sta affossando il partito conservatore nei consensi. “Nel 2022 è inaccettabile che in paesi come Regno Unito e Italia ci siano tali situazioni di povertà. L’impatto degli aumenti dell’inflazione è diverso tra le famiglie più povere e quelle più abbienti ed è importante che il governo aiuti le famiglie cominciando in modo prioritario con l’aggiustamento dei livelli di aiuti monetari in linea con l’inflazione (più che dei salari) ma nel lungo termine lavorare su un sistema assistenziale alle famiglie che sia in grado di assicurare che tutti siano in grado di approvvigionarsi almeno dei beni essenziali come cibo e riscaldamento”