Nel partito dell'ex premier, da una parte i falchi guidati da Ronzulli, che ieri volevano sabotare l'elezione di Fontana per vendetta, dall'altra i "governisti". Mentre Marina Berlusconi, per la prima volta, si è infuriata con la senatrice milanese oggetto della rottura tra i due leader. Sul concetto di "ricattabile", Meloni ha affondato il colpo. Mentre il segretario della Lega, nonostante il caso dello scornato Molinari, diventa obiettivo degli strali berlusconiani: "Traditore"
Chi si aspettava una giornata di tregua dopo lo strappo sull’elezione di Ignazio La Russa è rimasto deluso. Nel centrodestra le macerie sono ancora roventi e il voto (quasi) compatto su Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera non è servito a rasserenare il clima. A far deflagrare di nuovo la situazione è un foglio che Silvio Berlusconi teneva davanti a sé sul suo scranno in Senato che i fotografi sono riusciti a “paparazzare”. “Supponente, prepotente, arrogante e offensiva. Con lei non si può andare d’accordo”, sono le righe vergate nero su bianco dall’anziano leader forzista riferite a Giorgia Meloni. Il colpo finale a un rapporto mai decollato e nelle ultime ore planato a livelli rasoterra. Così, ieri sera, all’uscita da Montecitorio, sollecitata dai cronisti, la leader Fdi non si è trattenuta: “Mancava una cosa a quell’elenco: che non sono ricattabile”. Bum. Due i concetti da leggervi in filigrana: l’esibizione di una superiorità morale nei confronti dell’uomo di Arcore e il fatto che quest’ultimo non possa dire lo stesso di sé. Berlusconi ricattabile lo è eccome, quindi non è libero nelle sue azioni, il significato di quelle parole. E adesso? Il rischio è che s’innesti una spirale di odio e ripicche reciproche che possa far naufragare davvero la nascita del governo di centrodestra. Mai, del resto, si era visto un avvio di legislatura così burrascoso tra i partiti usciti vincitori dalle urne. E ora l’ipotesi che Forza Italia possa salire al Colle da sola per le consultazioni non appare più così peregrina.
Il timing istituzionale, intanto, non concede rallentamenti: mercoledì si dovranno eleggere i vicepresidenti di Camera e Senato, i segretari d’Aula e i questori. Poi sarà la volta dei capigruppo e infine, forse il 20 ottobre, si apriranno le danze al Quirinale. E Meloni, se sarà incaricata da Sergio Mattarella, vorrebbe salire al Colle con la lista dei ministri già bell’e pronta.
Ieri, prima del patatrac, un segnale di riavvicinamento tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni era stata l’elezione, a Montecitorio, di Fontana. Fino alla primissima mattina i falchi forzisti, ovvero Licia Ronzulli e pochi altri, volevano vendicarsi per lo smacco del giorno precedente impallinando il leghista. “Non esiste. Non possiamo rischiare che pure il presidente della Camera venga eletto con una maggioranza diversa…”, ha spiegato l’ex Cavaliere, che però in questo passaggio è rimasto assai deluso pure da Salvini, reo ai suoi occhi di aver fatto asse con Meloni alle sue spalle (e i due, Matteo e Giorgia, si sono visti anche ieri, per una manciata di minuti, nel cortile di Montecitorio). E infatti è stato anche lui obbiettivo degli strali berlusconiani, ieri, in un pranzo a Villa Grande cui ha partecipato lo stato maggiore del partito. L’ex Cav ne ha avute per tutti: per Meloni, quell’ingrata, e per Salvini, quel traditore. E sempre qui è andato in scena lo scontro tra falchi e colombe: tra chi è tentato di tenere Meloni sulla corda e chi vuole subito ricucire. Come Gianni Letta, presente al pranzo. E Antonio Tajani che, per andare alla Farnesina, scenderebbe a patti con chiunque. E nelle ultime ore non ha gradito affatto l’atteggiamento incendiario della senatrice milanese. Mentre Marina Berlusconi, in quel di Arcore, per la prima volta si è davvero infuriata con Ronzulli colpevole di aver esposto suo padre a una figuraccia in diretta televisiva. Si metterà, Marina, alla ricerca di una nuova “badante”?
Poi Fontana viene eletto, ma gli mancano 15 voti. E qui si apre un piccolo giallo. Secondo le voci del Transatlantico, sarebbero mancati i consensi di alcuni leghisti piemontesi e liguri, che hanno voluto mandare un segnale per il trattamento riservato a Riccardo Molinari. All’inizio il candidato leghista alla presidenza di Montecitorio era lui, poi Salvini ha cambiato idea, preferendo lasciarlo alla guida del gruppo parlamentare. Nella scelta può aver contato il fatto che il 24 ottobre Molinari andrà a processo per aver manomesso liste elettorali a Moncalieri. Il leghista alessandrino, inoltre, non ha mai nascosto, ricambiato, una viscerale antipatia per gli esponenti di Fdi. Quindi potrebbe esserci stato un consiglio non richiesto da destra: meglio Fontana. Sta di fatto che l’ex capogruppo non l’ha presa affatto bene, almeno a vedere l’espressione funerea con la quale si aggirava a Montecitorio. Fdi, però, nega ogni addebito. “La Camera era in quota Lega, noi abbiamo assistito da spettatori. Fontana sta al centrodestra quanto una Boldrini o un Fico stanno al centrosinistra. Ma ve li ricordate i loro discorsi d’insediamento? Non ci piacevano per niente, ma abbiamo sempre rispettato il loro ruolo istituzionale…”, confida un meloniano autorevole.
Nell’aria la tensione si taglia col coltello. Ma l’ipotesi che il partito berlusconiano vada da solo alle consultazioni nel primo pomeriggio sembra tramontata. “A differenza degli altri, noi siamo una coalizione che ha un programma di governo comune e ha fatto campagna elettorale insieme. Andare divisi non avrebbe alcun senso…”, ragiona in Transatlantico Raffaele Fitto. “Sarebbe come mettersi fuori dalla coalizione”, riflettono i forzisti. “Se quello su La Russa è stato uno scherzo non fa ridere. Faccio un appello: giriamo pagina e andiamo avanti, che in 5 anni ci sarà il tempo di compensare debiti e crediti”, scrive su Libero Alessandro Sallusti.
L’idea che la coalizione esista solo sulla carta però resta. Tensioni su tensioni che gioco forza si scaricheranno sulla formazione della squadra di governo. Il totoministri, infatti, è ben lungi dall’essersi esaurito. Con Fi che, proprio per l’uscita di Ronzulli da tutti i giochi, potrebbe chiedere un riequilibrio, anche alla luce dei 5 posti promessi alla Lega. Consapevole però di non poter toccare palla su Giustizia e Comunicazioni. Salvini, da par suo, non ha ancora perso le speranze per il Viminale. Ma in Via Bellerio raccontano che il leader è piuttosto divertito dalla sua nuova e insolita veste: quello di mediatore, di paciere tra Silvio e Giorgia. E dopo lo scontro feroce di ieri sera toccherà al Capitano vestire i panni di un Metternich. O di un San Tommaso. Alla fine, in qualche modo, a un compromesso si arriverà. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, il centrodestra peggio di così non poteva cominciare.