Nel libro del Pontefice Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza, in uscita il 18 ottobre per Piemme, un'invettiva contro il conflitto armato: "Alle autorità locali, nazionali e mondiali dalle quali dipendono le iniziative adeguate per frenare la guerra, facendo questa mia richiesta in nome di Dio, domando anche che si dica basta alla produzione e al commercio internazionale di armi"
“Chiedo in nome di Dio che si metta fine alla follia crudele della guerra“. Così Papa Francesco nel suo libro Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza, in uscita il 18 ottobre per Piemme, di cui La Stampa in edicola domenica 16 ottobre ha anticipato un brano. “La sua persistenza tra noi”, scrive il Pontefice, è “il vero fallimento della politica“.
E si rivolge alle “autorità locali, nazionali e mondiali” dalle quali “dipendono le iniziative adeguate per frenare la guerra. E a loro, facendo questa mia richiesta in nome di Dio, domando anche che si dica basta alla produzione e al commercio internazionale di armi” e che sia estirpata dal pianeta l’arma atomica: “L’esistenza delle armi nucleari e atomiche mette a rischio la sopravvivenza della vita umana sulla terra”.
Il Papa parte dal conflitto in Ucraina, che ha messo l’Occidente davanti all’evidenza e “ci ha mostrato la malvagità dell’orrore bellico”. Quindi estende la sua invocazione a tutte le guerre in corso, chiede “alle autorità politiche di porre freno”, “di non manipolare le informazioni e di non ingannare i loro popoli per raggiungere obiettivi bellici”.
“Non esiste – invita a riflettere il Pontefice – occasione in cui una guerra si possa considerare giusta. Non c’è mai posto per la barbarie bellica”. Non solo. “La guerra è anche una risposta inefficace: non risolve mai i problemi che intende superare – rimarca il Papa -. Forse lo Yemen, la Libia o la Siria, per citare alcuni esempi contemporanei, stanno meglio rispetto a prima dei conflitti?”. Francesco
indica la via della soluzione: “Servono dialogo, negoziati, ascolto, abilità e creatività diplomatica, e una politica lungimirante capace di costruire un sistema di convivenza che non sia basato sul potere delle armi o sulla dissuasione”.