Il regime bielorusso, a partire da febbraio, ha agito in aperta complicità con la Russia mettendo a disposizione il proprio territorio per facilitare il lancio di raid aerei e missilistici contro Kiev e l’invasione terrestre dell’Ucraina. Non è entrato, però, direttamente nel conflitto e con il passare del tempo il ruolo giocato da Minsk è diventato sempre meno evidente. Ma dopo l'annuncio di un gruppo militare unificato con Mosca le cose potrebbero cambiare
Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko si trova di fronte ad una scelta difficile. L’escalation voluta dal Cremlino in Ucraina, culminata nella mobilitazione parziale dell’esercito russo e nell’annessione dei territori occupati, impone l’adozione di una posizione chiara, esattamente quello che Lukashenko ha evitato di fare negli ultimi mesi. Il regime bielorusso, a partire da febbraio, ha agito in aperta complicità con la Russia mettendo a disposizione il proprio territorio per facilitare il lancio di raid aerei e missilistici contro Kiev e l’invasione terrestre dell’Ucraina. Non è entrato, però, direttamente nel conflitto e con il passare del tempo il ruolo giocato da Minsk è diventato sempre meno evidente. Si tratta di uno status quo particolarmente gradito a Lukashenko, la cui diplomazia ha tentato di aprire un canale di dialogo con l’Occidente alle Nazioni Unite.
Negli ultimi giorni si sono però registrati alcuni segnali d’allarme, come le dichiarazioni rilasciate dal presidente di Minsk in merito alla formazione di un gruppo militare unificato tra Russia e Bielorussia, ma non sembra che Lukashenko sia pronto, nonostante la pressione esercitata da Vladimir Putin, a lanciare le proprie forze in una guerra che non sta andando secondo i piani di Mosca. Artyom Shraibman, analista politico bielorusso e collaboratore del Carnegie Endowment for International Peace, lo ha confermato al Guardian dichiarando che “Putin non può costringere Lukashenko a commettere un suicidio politico”, mentre Konrad Muzyka, analista indipendente e direttore del Rochan Consulting, ha chiarito che “le forze armate bielorusse sono deboli e inconsistenti” e che dovrebbero mobilitare 20mila uomini, data la loro marcata esiguità, per raggiungere la piena efficienza. L’analista militare ucraino Oleh Zhdanov ha recentemente dichiarato all’Associated Press che “l’esercito bielorusso è debole, demotivato e non è disposto a combattere in Ucraina”.
I timori di una pressione russa sulla Bielorussia non sono infondati perché Lukashenko, che governa con il pugno di ferro da 28 anni, dipende dal supporto economico e politico di Mosca. La Russia ha investito miliardi di dollari nel rafforzamento dell’inefficiente economia bielorussa, ancorata a un modello di produzione di stampo sovietico, grazie a energia a basso costo e prestiti. Nel 2020 il Cremlino ha aiutato Lukashenko a sopravvivere alle più grandi proteste di massa della storia del Paese, dopo le Presidenziali che tanto l’opposizione quanto l’Occidente hanno definito truccate. La repressione statale è stata incessante a partire dall’agosto del 2020: migliaia di bielorussi sono stati arrestati e condannati a pene detentive nel corso degli ultimi due anni, molte migliaia sono state costrette a lasciare il Paese. Chiunque critichi le autorità deve affrontare una repressione su base quotidiana e in molti hanno paura di parlare di politica al telefono oppure su internet. I bielorussi sono fermamente contrari alla guerra, come evidenziato da due sondaggi, e appena il 2-8% è favorevole a inviare soldati in Ucraina. L’opposizione alla guerra è una posizione storicamente forte a causa dell’esperienza traumatica del secondo conflitto mondiale, nel corso del quale la nazione ha subito più perdite di molti altri Stati europei ed è una parte indissolubile dell’identità nazionale.
Aldo Ferrari, Ordinario di Armenistica, Caucasologia, Mongolistica e Turcologia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e a capo del programma che si occupa di Russia, Caucaso e Asia Centrale presso l’Ispi, spiega a Ilfattoquotidiano.it che “è chiaro che nella situazione delicatissima in cui si trova Lukashenko, con una parte maggioritaria dei suoi cittadini che non lo sostiene più, l’ingresso diretto in una guerra non provocata potrebbe far partire una nuova ondata di proteste a cui difficilmente potrebbe resistere”. Come è chiaro che “ senza l’appoggio di Mosca questo Paese avrebbe preso, da almeno un paio d’anni, una strada diversa e quindi la situazione in cui si trova Lukashenko può essere descritta come una sorta di equilibrismo”. Bisognerà vedere, però, se questo atteggiamento sarà perseguibile anche nel medio-lungo periodo.