Moda e Stile

Lis Furlanis, viaggio alla scoperta del laboratorio di furlane di Cristina e Massimo: copertoni di bici, scampoli e tanta passione. Così nascono le scarpe del momento

Il loro laboratorio è uno dei 100 tesori del Made in Italy che sabato 22 e domenica 23 ottobre saranno eccezionalmente aperti al pubblico nell'ambito di ApritiModa

di Ilaria Mauri

La villetta è bianca, a due piani. Dietro la casa, a Gonars, nel cuore del Friuli, c’è la bottega. Varcare la soglia è come fare un salto indietro nel tempo, tra antichi attrezzi, cartamodelli, scaffali zeppi di scampoli di tessuti colorati, copertoni di biciclette, i nastri e i sacchi di iuta. È qui che Cristina e Massimo realizzano ancora interamente a mano le loro furlane, le scarpette della tradizione popolare locale divenute oggi un must-have, tanto da esser indossate anche dal principe William e George Clooney sul red carpet. Il loro laboratorio è uno dei 100 tesori del Made in Italy che sabato 22 e domenica 23 ottobre saranno eccezionalmente aperti al pubblico nell’ambito di ApritiModa, il progetto ideato e sostenuto dalla giornalista Cinzia Sasso che ogni anno, dal 2017, apre per un weekend letteralmente le porte dei luoghi della moda e dell’artigianato d’eccellenza italiani, per far conoscere al pubblico il lavoro che sta dietro ai prodotti che acquistiamo o vediamo nelle pubblicità. Un sapere spesso antico, tramandato di padre in figlio o recuperato e preservato dalla passione di persone come Cristina e Massimo che nel 2014 hanno creato il marchio Lis Furlanis per portare avanti l’antica tradizione delle furlane (o friulane che dir si voglia).

Esattamente come si faceva nell’Ottocento, ogni giorno realizzano paia di queste scarpette che non sono solo la moda del momento, ma sopratutto il simbolo di un artigianato storico che ha saputo fare di necessità virtù creando calzature belle, pratiche e durevoli a partire da scarti e avanzi, per una produzione ecosostenibile ante-litteram. Abbiamo raggiunto Cristina Barbierato per farci raccontare come è nata la passione per questo mestiere e cosa c’è dietro le sue “scarpez”, come vengono chiamate in friulano. “Per noi è davvero importante dare la possibilità alle persone di vedere dove e come si realizza questa calzatura perché credo che oggi si sia persa la consapevolezza del lavoro che sta dietro un prodotto artigianale”, ci spiega guidandoci alla scoperta della sua bottega.

Lei ha iniziato a lavorare nel mondo della calzatura negli anni ’90, all’epoca per conto di una ditta tedesca che produceva scarpe di design già ecosostenibili. Poi, terminata quest’esperienza, ha deciso insieme al marito Massimo di aprire il proprio laboratorio: la scelta di recuperare la produzione delle furlane è la conseguenza diretta della sua attenzione e dedizione alla consapevolezza ambientale e alla tutela delle conoscenze locali. Così ha recuperato tutta l’attrezzatura originaria necessaria per la realizzazione di queste scarpette e ha iniziato la produzione: “Gonars aveva una lunga tradizione artigianale nella realizzazione delle furlane e c’era una signora che aveva chiuso da poco il suo laboratorio casalingo, conservando tutto con l’idea di farne un museo. Mi ha regalato tutto e uso ancora quegli attrezzi e quei modelli, originali degli anni ’50-’60“. Continuità è la parola chiave che contraddistingue il lavoro di Lis Furlanis. Ogni scarpa è un pezzo unico e nessuna furlana è uguale all’altra: “Le nostre furlane sono fatte tutte a mano secondo l’antica tecnica, l’utilizzo delle macchine da cucire è marginale”.

Cristina definisce il suo lavoro un’opera di “artigianato radicale” e questa definizione ci ha colpito molto perché sintetizza effettivamente alla perfezione quanto avviene in questa bottega, dove ogni pezzo è autoprodotto con materiali di recupero. “Da noi non esiste produzione in serie, anzi, ognuna di queste scarpette è un pezzo unico perché sono fatte con scampoli e rimanenze di tessuti vari che amo ricercare nei mercatini”, ci racconta. Per fare un paio di furlane bastano infatti due pezzi di tessuto delle dimensioni di un foglio A4, della iuta e dei vecchi copertoni di bicicletta per la suola. Occorrono in media 4 ore per crearle e i tre quarti di questo tempo se ne vanno solo per la cucitura della suola. “Facciamo al massimo 8 paia con la stessa tela, più spesso solo un paio o due. Ogni scarpetta è diversa dall’altra e per questo diventa poi la massima espressione della personalità di chi la sceglie e la indossa. Pur inserendosi nel solco della tendenza del momento, le nostre furlane sono una scelta di stile così radicale che contribuisce a definire l’identità di chi le porta, diffondendo la consapevolezza dell’unicità“. Oltretutto, Cristina e Massimo sono dei veri artisti e si sbizzarriscono con la loro creatività tra fantasie, colori, decori e ricami.

Nella sua semplicità, questa piccola impresa a conduzione familiare è un’emblema di quell’eccellenza che fa grande il Made in Italy nel mondo, garantita dalla filiera corta, cortissima, e assolutamente sostenibile, che va a recuperare e valorizzare con consapevolezza le rimanenze dell’industria tessile: “I tessuti che usiamo non sono rifiuti né stoffe danneggiate, sono semplicemente pezzature di dimensioni piccole avanzate da altre lavorazioni o non più utili per il loro scopo principale. Queste scarpette erano le calzature della gente semplice, povera, e io voglio preservare e tramandare a chi le acquista quel valore di parsimonia che vi è insito“, ci dice Cristina.

Per questo Cristina e Massimo producono quasi esclusivamente su ordinazione, evitando sprechi e accumuli di magazzino e garantendo un prodotto ultra personalizzato: “Abbiamo delle collaborazioni con alcuni negozi che vendono le nostre friulane ma anche gli diamo pochi pezzi incentrati su richieste di gusto specifiche o sui pezzi di stoffa che ci forniscono. Poi ci sono i clienti che ci contattano direttamente: a loro proponiamo di portarci, se vogliono, un tessuto a cui sono affezionati, come un vecchio abito che non indossano più o che si è rovinato. Noi gli diamo nuova vita trasformandolo in un paio di friulane, preservando ed accentuando il valore affettivo o la storia che vi è dietro, oltre che consegnando al cliente un prodotto che lo rappresenta appieno”. “Io lo definisco approccio ‘costruttivo’ – prosegue -, perché ogni cliente è coinvolto attivamente: non si limita ad acquistare le friulane, è chiamato a crearle con noi. Questo dà valore anche al gesto stesso di comprarle, che non è più passivo o dettato da una voglia temporanea, ma consapevole e motivato”.

È incredibile e assolutamente potente l’insieme di valori che può essere racchiuso in questo paio di “scarpez”, salite oggi un po’ per caso alla ribalta: se le si guarda con uno sguardo più attento, ci si accorge come siamo uno stilema della sensibilità individuale, capaci di andare contro il conformismo di quella moda che pure le sta rendendo celebri in tutto il mondo.

Le visite del 22 e 23 ottobre, guidate e gratuite, al laboratorio di Lis Furlanis si svolgeranno su prenotazione, così da garantire il rispetto delle misure a tutela della salute di tutti. Qui per prenotarsi sul sito di ApritiModa.

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