Tutti pazzi per Marco Giallini. Novello “Scrooge denoantri” ne Il principe di Roma di Edoardo Falcone, un dramedy “di redenzione che mi ha commosso parecchio”, ma anche personaggio off stage, tra sberleffi, dispetti ai colleghi, provocazioni al pubblico, al suo amatissimo pubblico capitolino. Chi lo conosce sa che Giallini “nun se tiene” e tra una frecciatina e l’altra, le ha mandate a dire anche sulla sua città, la Roma dove nel 1963 è nato e cresciuto. “Quando ero piccolo e giravo con mio padre per Trastevere tutti salutavano, c’era calore umano, oggi non c’è più niente: ormai Roma è morta. C’è solo l’ego, l’individualismo da social, ci hanno.. fottuto!“, è sbottato l’attore-mattatore che è sembrato levarsi un po’ di sassolini dalle scarpe.
Nel film di Falcone, presentato fuori concorso alla 17ma Festa del Cinema di Roma, Giallini è un personaggio scomodo, lagnone, antipatico ai limiti dell’odioso ma il suo percorso di incontri spettrali lo redime. Oltre all’esplicito riferimento al Canto di Natale di Dickens, si tratta in realtà di un omaggio alla Roma papalina di In nome di Papa Re di Luigi Magni, ma non solo. “Non volevamo fare un film di macchiette. Non volevamo contrabbandare la solita romanità, ma dare un po’ di respiro alla romanità vista sempre e solo come ‘coattagine'”, puntualizza Edoardo Falcone.
Ma Giallini, come prevedibile, resta il centro, “l’accento” della vicenda più o meno favolistica. “Ho scritto il film pensando a lui, perché incarna una romanità popolare. E dopo la terza volta che lavoro con lui, posso dire che sono proprio recidivo. Lui ha delle caratteristiche a livello attoriale, quel certo tipo di ironia cattiva, che fanno sì che a livello cinematografico ‘Giallini è Roma’“.