Tecnologia

Dalle università alle Metaversità: gli atenei Usa sposano il virtuale. Ma le critiche non mancano

Il modello di istruzione online, che si è imposto in tutto il mondo durante l’emergenza pandemica, non dà segnali di smobilitazione. Anzi, consolida la propria presenza attraverso la costruzione di Metaversità e Metascuole, ovvero di università e istituzioni scolastiche costruite in ambiente virtuale immersivo, cioè Meta.

È proprio l’azienda di Mark Zuckerberg, infatti, a finanziare con 150 milioni di dollari la start-up VictoryXR che, nell’ambito di un progetto che coinvolge dieci università statunitensi, sta creando le versioni digitali dei loro campus (trattasi della loro replica esatta), per consentire agli studenti e ai docenti di partecipare alle lezioni in ambiente 3D, indossando dei visori.

Il progetto è già in fase di implementazione, ma l’esperimento pilota, che ha riguardato Morehouse College, una storica università nera del sud degli Stati Uniti (Atlanta-Georgia), è stato realizzato da VictorXR nel 2021. L’idea alla base del progetto, come ha spiegato Monica Arés, responsabile dell’Immersive Learning di Meta, è il superamento dell’attuale modello ibrido di apprendimento, fatto di un mix di didattica in presenza e online, attraverso la creazione di avatar e ambienti digitali simili a quelli reali.

Nel sito dell’ateneo di Atlanta vi sono dei video promozionali dove si possono vedere gli avatar di studenti e docenti che si aggirano nel campus digitale, oppure ambienti più fantasiosi, tipo un campo di battaglia del XIX secolo dove studenti o professori digitali di storia si trovano a fianco di Napoleone e delle sue truppe, così come un laboratorio di anatomia in cui si esplorano repliche giganti degli organi umani in 3D. Le dieci università coinvolte stanno già offrendo diversi Metacorsi in microeconomia, scienze forestali, biologia, etc. Per permettere agli studenti di iscriversi, gli atenei hanno deciso di prestare loro i visori, lasciando comunque aperta la possibilità di partecipare ai corsi in versione 2D, attraverso un semplice computer.

Il progetto è appena entrato nella fase di implementazione, ma già fioccano le ricerche che parlano di miglioramento del livello di apprendimento in ambiente Meta. Una ricerca dell’Università di Stanford, per esempio, che ha seguito per dieci settimane un corso sviluppato in ambiente virtuale immersivo, riferisce persino di una maggiore capacità relazionale degli avatar studenteschi, ossia di una loro superiore predisposizione a diventare amici frequentando i corridoi del campus digitale.

In realtà non mancano i critici delle Metaversità. In tanti puntano il dito sui pericoli che corre la privacy degli utenti del mondo Meta, trattandosi di un’azienda con pessima reputazione nella tutela dei dati. Basti pensare, ad esempio, che nessuno dei visori (generosamente) prestato agli studenti dalle Metaversità funziona se non si ha un account Meta e un profilo su Meta Horizon. Altri lanciano l’allarme sui problemi relativi all’eguaglianza, alla diversità e all’inclusione in Metaverso. I media hanno riportato numerose notizie di hate speech, molestie e persino aggressioni sessuali nelle varie piattaforme Meta.

Oltre a ciò, occorre notare che le Metaversità sembrano rivolgersi a una popolazione studentesca povera: le dieci università coinvolte nell’esperimento sono prevalentemente frequentate da studenti a basso reddito. L’obiettivo, come ha dichiarato Arés, è quello “di preparare la futura forza-lavoro a interagire con queste tecnologie”. E, naturalmente, la forza-lavoro del futuro non la si va a cercare nel circuito elitario dell’Ivy League, ai cui studenti continuano a essere garantite aule con mattoni veri, docenti in carne e ossa, corridoi e biblioteche reali in cui costruire amicizie.

Colpisce, infatti, il contrasto tra l’entusiasmo dei capitani delle aziende hi-tech coinvolte nella costruzione delle Metaversità e il fatto che essi impediscano ai loro figli in età scolare di avere accesso ai dispositivi tecnologici. Nella Waldorf School, per esempio, dove studiano i figli dei capi della Silicon Valley, è assolutamente vietato l’accesso ai dispositivi digitali. Le ragioni di questa radicale scelta no-tech sono spiegate nel sito web della scuola.

Ecco alcuni passaggi: “L’intrattenimento elettronico nella nostra società, che è diffusa dai media, influenza lo sviluppo emotivo e fisico dei bambini e degli adolescenti, riducendo la loro capacità di creare una connessione significativa con gli altri e con il mondo che li circonda. La ricerca sul cervello ci dice che l’esposizione ai media può portare a cambiamenti nella rete neurale del cervello. […] Gli educatori Waldorf ritengono che sia molto più importante per gli studenti interagire tra loro e con i loro insegnanti e lavorare con materiali reali piuttosto che interfacciarsi con i media elettronici o la tecnologia. Esplorando il mondo delle idee, partecipando alle arti, alla musica, al movimento e alle attività pratiche, gli studenti sviluppano corpi sani e robusti, cervelli equilibrati e ben integrati, fiducia nelle loro abilità pratiche e forti capacità funzionali”.

Forse si potrà eliminare il sospetto di classismo nella costruzione delle Metaversità quando vedremo gli avatar dei figli di Zuckerberg e di altri capitani dell’industria edtech girovagare felici nei corridoi dei campus digitali costruiti dai genitori.