Televisione

Django, la serie tv promette bene. I primi due episodi presentati alla Festa del Cinema di Roma

Una serie western che, omaggiando la paternità di Sergio Corbucci - a cui è dedicata - porta ai suoi estremi la modernità del genere virandolo decisamente al femminile. Nel cast Noomi Rapace e Matthias Schoenaerts

di Anna Maria Pasetti

Un valore produttivo importante espresso in eccellenze creativa e tecniche notevolissime. La serie tv Django, atteso nuovo gioiello della scuderia Sky Original (con Canal +, Cattleya, Atlantique Productions, co-prodotta da Sky Studios, insieme a Studiocanal e Odeon Fiction e con il sostegno del ministero della Cultura e del governo romeno) artisticamente diretto da Francesca Comencini promette assai bene. Almeno a giudicare dai primi due episodi presentati in primissima mondiale alla 17ma Festa del Cinema di Roma: una ghiotta anteprima-preludio alla programmazione su Sky e Now che partirà nel 2023.

Una serie western che, omaggiando la paternità di Sergio Corbucci – a cui è dedicata – porta ai suoi estremi la modernità del genere virandolo decisamente al femminile, ma senza mai scadere nell’equivoco della “gender correctness”. In altre parole, la figura della donna è costruita bene quanto quella dell’uomo, a prescindere che sia eroina o antagonista, come in questo caso nell’incarnazione della star svedese Noomi Rapace, la “perfidissima Lady Elizabeth”. Django, invece, ha il volto e la fisicità imponente del belga Matthias Schoenaerts, accompagnato da colleghi magari meno noti ma perfettamente in parte come il britannico Nicholas Pinnock e la tedesca Lisa Vicar, tra gli altri. Insomma, un cast internazionale che ha affrontato la drammaturgia ben congegnata dagli sceneggiatori Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli, entrambi non a caso autori anche di Gomorra – La serie di cui la Comencini è stata tra i registi e direttori artistici come in questo caso.

La sfida, indubbiamente era imponente, ma il risultato delle prime puntate, si diceva, meritevole degli sforzi messi in campo. “Ciò che mi ha attirato dentro al Western è lo spirito indomito cavalcato da questo genere tra la fine degli anni ’60 e i ’70, film come Il mucchio selvaggio hanno profondamente segnato il mio immaginario” ha spiegato la regista romana sottolineando la sua passione per la declinazione “anarchica, ribelle, refrattaria alle regole della favola nera informata nel Western, di cui ho voluto rispettare e omaggiare la tradizione ma anche spezzarla, esattamente come avevano fatto i grandi cineasti di quegli anni”. Il Western – “che è un sogno smisurato” – parla di utopia, e per questo Comencini & Co non si sono limitati all’immaginario tipico del Texas del 1872, in cui parte la vicenda del loro Django, ma si sono divertiti a nutrirlo di elementi eccentrici, tra colori, costumi, ornamenti esotici di ogni forgia e provenienza che invero mettono in scena le radici polifoniche del meltin’pot americano. Un’America, insomma, plurale e capace (sulla carta costituzionale..) di assorbire tutto e tutti, almeno in quella New Babylon che risponde alla città immaginaria dove abitano “i nostri”, non casualmente così titolata. Sergio Corbucci e Sergio Leone avrebbero probabilmente gradito e forse anche il cinefilo Quentin Tarantino, che magari se la gusterà a casa sua nei 10 episodi in cui si articolerà per le regie di Francesca Comencini ma anche di David Evans ed Enrico Maria Artale.

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