In 75mila, allo stadio invece che al pranzo della domenica. Per tifare. E lanciare un messaggio. Il tutto esaurito di Inter-Salernitana non è una novità, ce ne sono già stati diversi in stagione a San Siro (dal derby sponda rossonera alla recente sfida con la Roma), ce ne saranno altri nelle prossime settimane. Ma questo è speciale: a riempire lo stadio in un big match, o in una notte di Champions, son bravi tutti. Diverso è un sold out a mezzogiorno, in una partita contro una provinciale, in un momento nemmeno particolarmente positivo per la squadra in campionato. Più che una dichiarazione d’amore ai colori nerazzurri (o rossoneri, non cambia per il Milan), è un appello potentissimo a entrambi i club: il grande pubblico di Milano non merita uno stadio troppo piccolo.
A Milano si discute del nuovo San Siro, con i club all’attacco per strappare le migliori condizioni possibili (che vuol dire tempi rapidi e cubature di cemento, come da tradizione italiana), il sindaco Beppe Sala all’angolo e le voci di dissenso che si alzano dalla cittadinanza. Qui non si tratta di fare passatismo: San Siro è la storia del calcio ma la storia si può anche innovare, in Inghilterra hanno buttato giù Wembley e Highbury, si potrà fare pure col Meazza. Che almeno lo si faccia bene, però. Invece l’errore è pensare che nuovo sia per forza bello, e non accorgersi che il nuovo San Siro sta nascendo già sbagliato.
Milan e Inter sono per distacco le due squadre italiane che portano più tifosi allo stadio: quest’anno (ma è una tendenza consolidata nel tempo) viaggiano a una percentuale di riempimento del 95%, quindi praticamente tutto esaurito ogni domenica. I numeri non mentono e impongono una riflessione. Per una squadra che porta in media oltre 70mila tifosi allo stadio indipendentemente dall’avversaria, che senso ha costruire uno stadio di capacità inferiore e lasciare la gente fuori? La risposta purtroppo è chiara: imporre il modello in cui lo stadio è un’esperienza da ricchi, e il biglietto un articolo di lusso introvabile, il cui prezzo lievita insieme alla domanda. Ha funzionato così nella Premier League inglese, dove l’ammodernamento degli impianti ha coinciso con la trasformazione sociale della tifoseria (dalla working class a cui appartenevano gli hooligans alla middle, se non proprio upper class di oggi, ma questa è un’altra storia). In parte è successo lo stesso anche in Italia con lo Juventus Stadium, il più importante impianto di proprietà del Paese, dove il costo degli abbonamenti è raddoppiato dall’inaugurazione a oggi.
La fretta delle proprietà per certi versi è anche comprensibile: sono alle prese con una crisi finanziaria senza precedenti, lo stadio di proprietà è un asset fondamentale per aumentare i ricavi nel calcio moderno (ma non è la panacea di tutti i mali, ne siano consapevoli). Accecate dall’avidità, Milan e Inter peccano di miopia. Lo insegna in fondo proprio l’esempio della Juve. A Torino, probabilmente, si sono pentiti di aver costruito un nuovo stadio da provinciale, con appena 40mila posti: grazie ai prezzi alti i bianconeri guadagnano più delle milanesi, ma restano comunque lontanissimi dalle big d’Europa, anche perché il moltiplicatore (cioè il numero di spettatori) è davvero limitato. Tant’è vero che negli anni d’oro, quando la squadra inanellava finali di Champions in cui avrebbe fatto segnare tutto esaurito e incassi da record, lo stesso presidente Andrea Agnelli è stato pubblicamente interrogato sull’opportunità di ampliare la capienza (per concludere che non era più possibile farlo).
Certo, il nuovo San Siro si inserisce nel solco della maggioranza dei progetti recenti, concepiti con una capacità ridotta proprio per massimizzare gli spazi e ridurre i vuoti: Wanda Metropolitano, Emirates, Tottenham, tutti gioiellini da 60mila posti. Ma non è quello il termine di paragone giusto: qui parliamo di uno stadio unico per le due formazioni più importanti d’Italia insieme alla Juventus, e non, con tutto il rispetto, della seconda squadra di Madrid. Milan e Inter devono guardare a Real e Barcellona, a United e Bayern, agli altri grandi club delle capitali europee del calcio. Al Camp Nou, che contiene oltre 90 mila persone, o al nuovo Bernabeu che anche dopo il rifacimento continuerà a stare sopra quota 80mila. Invece dopo la presentazione dell’ultima versione (dove tra l’altro il disegno dello studio Populous appare completamente trasformato, in peggio, non solo con la riduzione della capienza ma anche con la rinuncia agli elementi architettonici più caratteristici), l’impressione è che Milan e Inter stiano pensando solo a far presto, risparmiando sulla qualità e speculando sulla passione dei tifosi. Per rinunciare alla Scala del calcio, Milano dovrebbe avere almeno una cattedrale. Con queste premesse, rischia di ritrovarsi con una parrocchia di periferia.
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