Centoquarantamila persone in piazza sono un fatto. Soprattutto quando si mobilitano in una delle principali capitali europee, Parigi. E quando quella marea di persone manifesta per problemi che travalicano i confini nazionali e che interrogano tutti noi.

Eppure, fatte salve rare eccezioni, questo “fatto” pare proprio non sia accaduto: i media italiani hanno semplicemente fatto scomparire la notizia della “Marcia contro il carovita e l’inazione climatica”. Una marcia che – per usare le parole di Mélenchon, leader de La France Insoumise e della NUPES e organizzatore della manifestazione – è stata “la marcia della gente che ha fame, che ha freddo, che vuole essere pagata meglio”.

La Francia, come l’Europa tutta, affronta infatti una fase tutt’altro che facile.

La rottura delle catene di approvvigionamento globale di merci, anche a causa del Covid-19, e il vertiginoso aumento dei prezzi, soprattutto dei generi di prima necessità, in parte dovuto anche alla guerra in Ucraina, significano già nell’immediato un impoverimento di ampie fasce della popolazione. Alla crisi economica si somma quella ecologica, coi bei discorsi dei politici sulla necessaria transizione ecologica che danno mostra esclusivamente dell’ipocrisia di chi ci governa. E intanto “inazione” della politica è una manna per quelle grandi imprese – a partire da quelle dell’energia – che più hanno da guadagnare dal mantenimento dello status quo.

Il presidente Macron non sembra avere soluzioni a tutte queste questioni. E se è impensabile che un vento inflattivo che soffia su gran parte del pianeta sia risolto semplicemente a livello di singolo Stato-nazione, è altrettanto vero che i nostri governi hanno i margini per decidere su quali spalle debba pesare questa ennesima manifestazione della crisi.

Per questo la “Marcia” di Parigi è una campana che suona non solo per Macron, ma anche per l’Italia. E se l’oscuramento mediatico è frutto della preoccupazione di chi detiene le leve del potere qui a casa nostra – indicativo il titolo de Il Giorno: “A Parigi 140mila in piazza contro il carovita. E l’Italia ora teme l’effetto contagio” – nostro interesse è esattamente l’opposto.

Perché la rivendicazione di salari più alti, dell’aumento del salario minimo, di una vera transizione ecologica e di una pensione che non ti arrivi quando sei sul letto di morte è la stessa che può animare trasversalmente i popoli europei.

Ciò che si sta dando in Francia, però, non offre riflessioni sul solo terreno “programmatico”. Più importante ancora, nella fase attuale, sono gli strumenti in campo: “Una congiuntura di mobilitazione popolare, mobilitazione sindacale e crisi istituzionale”, di cui ha parlato dal palco Mélenchon e che si sostanziano dei 140mila in piazza, delle difficoltà di Macron in Parlamento e degli scioperi che da più di 10 giorni hanno bloccato alcune delle principali raffinerie francesi, interrompendo la distribuzione di benzina e bloccando così parte del Paese.

Una mobilitazione sindacale che, partita dai dipendenti dell’impresa dell’energia Total, in sciopero per un aumento del 10% dello stipendio (un +7% per recuperare l’inflazione e un +3% perché anche i lavoratori e le lavoratrici partecipino in parte della “bonanza” del settore) e per la tassazione degli extraprofitti delle grandi imprese, si è allargata ad altri settori e oggi avrà un passaggio chiave in uno sciopero generale convocato dal sindacato CGT.

Mentre in Italia i media si concentrano sulle difficoltà delle destre di trovare una sintesi che permetta la formazione del nuovo governo, la fotografia della realtà è impietosa: 2.600.000 persone chiedono aiuto per mangiare alle mense per poveri o richiedono pacchi alimentari; ogni nucleo familiare nel 2023 spenderà ben 2.476 € in più di bollette rispetto al 2021 (e sempre che i prezzi dell’energia non crescano ulteriormente); il 23% dei lavoratori ha una paga inferiore ai 780 € al mese, vale a dire meno dell’importo massimo del reddito di cittadinanza per un single; nel 2021 abbiamo registrato il valore più alto di consumo di suolo.

Di fronte a questo quadro, né le destre al governo né le opposizioni parlamentari – che hanno governato fino a oggi – sembrano avere soluzioni. Esattamente come Macron in Francia.

Alla “inazione” dei nostri governi l’unica risposta da poter mettere in campo è quella che si sta materializzando in Francia: un “fronte popolare” che unisca mobilitazione sociale, mobilitazione sindacale e lotta politica, capace di produrre crepe sul fronte istituzionale e aprire margini per un cambio di paradigma che permetta in primis un cambio delle spalle su cui deve pesare la crisi: per una volta non sia la gente comune ma chi, anche in questi anni di crisi “multipla”, ha continuato a riempirsi le tasche.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Sondaggi, a 3 settimane dal voto cresce ancora Fdi: è al 27% (+1). Vola il M5s: con il 17,2% dei consensi (+1,8) ha quasi raggiunto il Pd (-1,6%)

next