di Giorgio Boratto
Qualcuno sostiene che con l’avvento nelle istituzioni e nel governo di personaggi che si ispirano o si sono ispirati a idee politiche fasciste decada politicamente l’antifascismo che in politica ha sino ad oggi caratterizzato l’Italia.
Per me non è così. Il fascismo non è solo un movimento politico, un’idea di formazione dello Stato: il fascismo è soprattutto uno stato dell’anima, un modo di essere che sorge quando in ognuno prende il sopravvento l’egoismo, la crudeltà, il senso della tribù e si ritiene la propria cultura ed etnia qualcosa di superiore agli altri.
Filosoficamente fu Benedetto Croce che per primo avvertì che il fascismo per la sua peculiarità era soprattutto una malattia morale; un malessere che è uno smarrimento di coscienza, una depressione civile e una ubriacatura prodotta dalla guerra.
Per questo l’antifascismo è un valore universale e non dovrebbe mai venire meno.
Anche in psicologia, ed espressamente nell’Analisi Transazionale di Eric Berne, si cita un ‘piccolo fascista’ che è dentro ognuno di noi e rappresenta la forza della conservazione, quella che ci tiene legati al sangue, alla tribù, ed è l’ostacolo più forte all’evoluzione umana. Il fascismo, che etimologicamente significa legare, unire, ripete l’istanza sovrana di concentrare l’autorità militare e l’autorità religiosa per realizzare un dominio totale. Un po’ come avviene nei regimi confessionali tipo Iran e Afghanistan.
Il fascismo come il nazismo albergando in ognuno di noi troverà sempre qualche leader politico capace di estrarlo da noi, facendogli svolgere il suo ruolo per ripetere la storia degli orrori passati. L’antifascismo serve quindi a tenerci desti facendo attenzione a chi si professa guida infallibile, leader insostituibile, duce… tutto naturalmente dopo aver dato uno sguardo attento dentro di noi.
Poi succede anche che chi si professa politicamente antifascista cada in azioni e comportamenti fascisti poiché prevale quello spirito tribale, quel fanatismo di gruppo o di branco che oscura le coscienze.